Il nucleo più antico (e sincero) di Edolo

“Si nasconde tra antiche case e va cercata come viola tra i cespugli”, introduce così, con poesia, la chiesa di San Giovanni Battista, Don Mario Gazzoli (Edolo, 1914 – 1983) che ne fu rettore e custode per quasi trent'anni.

Quando fu costruita la prima chiesa di San Giovanni, nessuno lo sa con certezza; dai documenti conservati risulta che già nel 1395 in questo luogo, tra le viette delle contrade chiamate anticamente di Fondolo e di San Giocvanni, si celebrava una messa votiva nella festa di San Rocco, certamente per rendere grazie allo scampato pericolo di un'epidemia pestilenziale.

La fisionomia attuale della chiesa di Sa Giovanni Battista che sorge dopo un breve portico in piazza Nicolini, è databile ai primi decenni del '500, come attestano i documenti che la dicono riconsacrata il 7 settembre 1532.

Anche il campanile – che sbuca discreto come un'antica torre castellana in pietra grigia tra queste stradine – fu costruito, probabilmente seguendo le linee del suo precedente romanico, in pietra vista scalpellata, con merlature di finimento e finestre bifore, tra il 1542 e il 1545, ad opera del capomastro Bortolo Bonichi di Mu'.

La chiesa di San Giovanni Battista si presenta discreta, con la sua facciata pulita e lineare sulla piazza, con un piccolo pronao rinascimentale, da cui sorride la Vergine col Bambino e San Giovanni dalla lunetta.

Ma il vero tesoro di questa minuscola chiesa di montagna è racchiuso all'interno.

“Se trovi la chiesa illuminata, l'occhio si dirige al presbiterio”, scrive Don Gazzoli, “maestoso, che si erge alto chiudendosi in bellissima cupola come fiore rovesciato”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A partire dalla volta, che appare come un giglio a otto punte, si sviluppa uno strabiliante ciclo di affreschi, che potrebbe dirsi, vista la liricità dei paesaggi montuosi rappresentati a pittura tonale, di scuola veneziana di confine, tipica della Valcamonica.

Il suo autore, fu quasi sicuramente Paolo da Cailina il Giovane (Brescia, 1485 – 1545 circa) che li eseguì attorno al 1530, in un'atmosfera limpida, dove la carica psicologica delle figure rappresentate, si organizza in un grande teatro all'aria aperta.

 

 

 

 

 

 

 

 

Se nel lunotto al centro della cupola, come nelle antiche basiliche bizantine, vi si trova il Pantocreatore, nelle vele attorno, si sviluppa un corteo di angeli variopinti, dai toni delicati e, all'esterno episodi della Genesi, come la Creazione di Adamo, il Peccato originale, la Cacciata dal paradiso terrestre, il Lavoro dei progenitori, il Sacrificio di Abele e Caino, l'uccisione di Abele, Abramo con gli armenti e Mosè che riceve le tavole della legge.

Ai quattro lati, come un anello di congiunzione, tra l'Antico e il Nuovo Testamento  si trovano i quattro Evangelisti.

Ma le scene più spettacolari – che subito s'impongono con uno spettacolare colpo d'occhio scenografico dall'entrata – si sviluppano sulle pareti dell'abside.

 

 

 

 

 

Frontalmente tra la Decapitazione di San Giovanni Battista e il Battesimo di Gesù, si staglia imponente la commuovente Crocifissione ambientata su un altopiano sui monti, che si apre su una spettacolare vista a perdita d'occhio. 

Nel presbiterio ai lati vi sono rappresentati, anche se ora sopravvivono solo quelli sul lato sinistro, episodi della vita di San Giovanni Battista.

 

 

 

 

 

 

 

 

Dalla Visitazione, alla Nascita, alla Presentazione al tempio, con un fare veneziano, si sviluppa tutta una serie di episodi, sapientemente orchestrati, e ambientati sotto un ampio porticato a volte, sopra il quale, come se si trovassero su una veranda d'estate, si trova tutta una serie di profeti in conversazione.

Situati all'interno di un semplice ambiente parallelepipedo, con una copertura piatta, voluta dagli Edolesi, con plauso” nel 1781, poi in parte abbellita da due finestre a vetrini tondi a goccia veneziana in facciata, questo ciclo di affreschi ci appare nel suo complesso come un prezioso scrigno colmo di gemme multicolori, che se da un lato è memore della lezione lasciata in queste valli dal di Romanino, l'apre con umiltà a quanto più grande e vasto respiro.

Vladek Cwalinski

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