Picasso a Milano: una tradizione consolidata di Vladek Cwalinski

A partire dalla grande mostra del 1953 l’ammirazione dichiarata di Milano per l’opera di Pablo Picasso (Malaga, 1881 – Mougins 1973), poliedrica e multiforme eppure così organicamente relazionata a sé stessa e al mondo, si è consolidata con gli anni sino a diventare una vera e propria tradizione cittadina.

L’esposizione del 1953 presentava una panoramica dagli esordi dell’opera di un Picasso già anziano ma nel pieno della sua creatività e con ancora vent’anni (morirà infatti nel 1973 a Mougins) di lavoro che si rivelerà intensissimo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra le opere di allora, prestate dall’artista, dai musei, da Mosca a Barcellona, e da collezioni private da tutto il mondo, spiccava la presenza di Guernica, proveniente dal MOMA di New York, dov’era in prestito temporaneo in attesa di tornare in Spagna, che venne sistemata per l’occasione nella sala delle Cariatidi.

Imponente, ieratica e monumentale quel dipinto era la summa stessa del cubismo, divenuto così classico da sembrare arcaico e sfondare così il “muro” storico che separava la pittura parietale dalla modernità, Guernica aveva già diviso l’arte italiana sin dal termine della Seconda Guerra Mondiale in artisti pro e contro.

Picasso infatti sin da allora era divenuto la pietra dello scandalo anche per il P.C.I. che, zelante ai dettami del suo segretario Palmiro Togliatti (che scrisse un articolo sul giornale “Rinascita” dell’ottobre 1948 firmandosi con lo pseudonimo di Roderigo da Castiglia dove bollava come “orrori”,  “scemenze” e “scarabocchi” le opere dei compagni del Fronte nuovo delle arti esposte a Bologna che avevano trovato in Guernica il loro punto di riferimento “etico” per la battaglia politica)  aveva “suggerito” agli artisti aderenti al partito, che dall’immediato dopoguerra si erano coalizzati nel “Fonte Nuovo delle Arti”, un realismo per l’educazione delle masse in linea con quello socialista sovietico teorizzato da Zhdanov.

Vi aderì con convinzione soprattutto Renato Guttuso (molto amico di Picasso) ma altri come Vedova, Turcato, Morlotti, Birolli, Santomaso e Moreni, si ribellarono a quel diktat, chi dirigendosi verso un dogmatismo astratto ancora più estremo, chi come Morlotti, salvandosi dalla trappola di quella lucida visione razionalistica grazie alla ritrovata scoperta del rapporto con la natura come fonte d’ispirazione per il dipingere.

Se Mario Sironi dal suo isolamento da eremita bollava con rabbia come “picassini” i protagonisti di tutto quel guazzabuglio di polemiche, ripicche e vere proprie faide, tipicamente italiano, è innegabile che l’influenza di Picasso sui suoi contemporanei, soprattutto in Italia, sia stata così profonda che la mostra del 1953, era già celebre prima ancora di incominciare, influendo, e molto anche, sul dibattito culturale e politico.

Picasso tornerà con la sua opera a Palazzo Reale nel settembre 2001, in una Milano confusa, intimidita e disorientata, in seguito agli attentati delle Twins Towers a New York, con un clima internazionale che non lasciava presagire nulla di buono.

Anche lì, in quei giorni plumbei, arriverà come una ventata di libertà e di vita, una piccola goccia di speranza nel disastro immane.

In questi ultimi mesi del 2012 l’occasione per un suo ritorno a Milano è data dal restauro del Musée Picasso di Parigi, davvero troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire in questo tempo feroce di crisi.

Se quest’esposizione si presenta più completa, (così come si può essere di fronte alla sua vastissima produzione) di quella del 2001, con la quale tuttavia vi sono alcuni punti di contatto, tuttavia appare più dettagliata a evidenziare, con opere di maggiore notorietà, alcuni punti nevralgici del suo lungo percorso creativo. 

E’ così sin dagli esordi dove il ‘periodo blu’ è segnalato dalla Celestina (1904), una guercia ritratta con quella luce azzurrognola, lunare, a dettare le malinconie notturne della sua prima notorietà, tra Barcellona e Parigi. 

Lo stesso si può dire per I due fratelli (1906) che testimoniano la maturazione (per il giovane Picasso le fasi della sua poetica maturavano molto rapidamente) del suo ‘periodo rosa’ agli albori di quella visione classica che porterà di lì a breve, tra sculture africane e iberiche, alla nascita del cubismo, documentato da numerosi studi per Les Demoiselles d’Avignon e dalle Tre figure sotto un albero (1907-08).

Tale poetica primordiale, muterà presto nelle visioni cristallizzate a fotogramma in scale grigio argentee, come appare, tra gli altri, da L’uomo con chitarra (1911), che prenderanno il nome di “cubismo analitico”, per progredire poi, assimilando ogni genere di materiale estraneo alle belle arti, come testimoniano Chitarra e bottiglia di Bass  (1913) e Violino (1915), nell’intento di ricostruire l’arte dalle basi, per ridarle vigore. 

E’ curioso che Picasso realizzasse queste opere negli stessi anni nei quali elaborava una nuova visione classica, potente, autentica, pienamente mediterranea e solare, documentata da Olga in poltrona (1918) e da Paulo nei panni di arlecchino (1924).

Classicità e cubismo così si scambiano di posto acquistando reciproco giovamento: nuova sintesi per l’una, equilibrio e compostezza per l’altro.

Un percorso creativo ricchissimo di scoperte, dalla riduzione brutale del corpo umano alla somma delle sue parti, con Donna che lancia una pietra (1931), all’indagine sull’espressività di una pittura grezza, ridotta ai minimi termini, con La contadina (1938), con intuizioni che precorrono il surrealismo, senza mai rimanervi imbrigliato, che anticipano De Kooning, tutto gli interessa, nessun materiale, nessuna tecnica gli è estranea, sino agli ultimi anni osando ha ancora l’ironia e la libertà di ritornare con la mente ai suoi esordi di Giovane pittore (1972).

 

Vladek Cwalinski

 

 

 

 

Picasso

Palazzo Reale, Milano

Fino al 6 gennaio 2013

Catalogo 24 ore Cultura

www.mostrapicasso.it