Teatro Out Off IL SOGNO DI UN UOMO RIDICOLO        di Fëdor Dostoevskij

sino al  22 dicembre

Teatro Out Off

IL SOGNO DI UN UOMO RIDICOLO       

di Fëdor Dostoevskij

Traduzione e drammaturgia di
Fausto Malcovati e Mario Sala
regia Lorenzo Loris
con Mario Sala

scena Daniela Gardinazzi, costumi Nicoletta Ceccolini
luci e fonica Luigi Chiaromonte, consulenza musicale Ariel Bertoldo,

collaborazione ai movimenti Barbara Geiger, assistente alla regia Davide Pinardi

Interventi pittorici in locandina di Giovanni Franzi

Produzione Teatro Out Off

Spettacolo in abbonamento Invito a Teatro

 

OLTRE IL TEATRO: gli incontri

Il 12,19 e 21 dicembre, dopo lo spettacolo, alle ore 21.00 circa, proiezione del film MAC DOS  – DOStoevskij in MACmahon di Davide Pinardi Back stage dello spettacolo “Il sogno di un uomo ridicolo” regia di Lorenzo Loris

venerdi 13 dicembre, ore 17.00 a MACAO (sala del cinemino) via Molise, 68 dialogo su Dostoevskij e l’Utopia tra il Prof. Fausto Malcovati, e Carlotta Muston e Davide Scotti di Extinction Rebellion

RACCONTACI LA TUA UTOPIA

Storie di giovani che a Milano credono e agiscono affinché la felicità sia possibile su questa terra: 13 dicembre, dopo lo spettacolo incontro con Carlotta Muston e Davide Scotti di  Extinction Rebellion; 18 dicembre, dopo lo spettacolo incontro con  Matteo Castellani, Silvia Fontana e Mariangela Vitale del gruppo  Acropoli – Tempio del Futuro Perduto; 20 dicembre dopo lo spettacolo incontro con Francesca Rendano del bar, libreria e spazio alternativo Mamusca; 17 dicembre, dopo lo spettacolo, presentazione dell’Utopia di  Mep -Movimento per l’Emancipazione della Poesia.

 

 

Torna all’Out Off lo spettacolo che questa primavera ha fatto discutere e ha appassionato il nostro pubblico  “Il sogno di un uomo ridicolo” con la regia di Lorenzo Loris e uno strepitoso Mario Sala. Un racconto fantastico, scritto intorno al 1876 da Dostoevskij, che riesce a parlarci ancora oggi della necessità dell’utopia proprio in un momento in cui il futuro, più che un sogno fantastico, è un incubo distopico.  Per Dostoevskij l’uomo deve porsi degli obiettivi positivi perché  la felicità sulla Terra può esistere e cercarla non solo ha senso, ma è forse l’unica cosa che abbia senso fare.

 

Nel suo percorso di questi ultimi anni, tutto incentrato sui rapporti fra letteratura e teatro, fra parola scritta per essere letta e parola scritta per essere detta, Lorenzo Loris si era già imbattuto in Dostoevskij nel 2015 con il suo lucido e sognante allestimento de Le notti bianche. Dai soprassalti emotivi dei due protagonisti di allora, da quell’intero attimo di beatitudine concesso dalla bella Nasten’ka al suo impossibile amante, ci si porta ora con questo Sogno di un uomo ridicolo a un racconto per una voce sola, in cui quell’attimo si dilata però fino a raggiungere dimensioni cosmiche, e quella beatitudine si fa redenzione. La parola, qui, è già monologante, pronta per l’uso per così dire, in un racconto tutto scritto in prima persona, con un protagonista forte, evocativo in ogni suo gesto e in ogni sua parola. Quasi a dimostrare, come l’attento e instancabile lavoro di Loris sembra volerci suggerire, che questi due mondi, letteratura e teatro, possono felicemente travasarsi l’uno nell’altro in modo quasi osmotico, e in questo trasvolare dalla pagina al palcoscenico la parola letteraria vibrare di nuove risonanze.

 

Dostoevskij concepisce Il sogno di un uomo ridicolo come un racconto fantastico, scritto intorno al 1876 e inizialmente inserito nel Diario di uno scrittore. Un uomo ripercorre la sua vita e le ragioni per cui si è sempre sentito estraneo alla società. Ogni interesse, ogni impulso vitale sembra in lui ormai drammaticamente destinato a esaurirsi nel nulla, quando ecco la svolta salvifica presentarglisi in forma di sogno, suggerendo un’improvvisa quanto inaspettata opportunità di riscatto. Il racconto decolla così assieme al suo protagonista, si sposta di piano e approda in altri mondi: le anguste pareti di una povera stanza in affitto esplodono letteralmente nello spazio, e una rivelazione di trascinante potenza si offre disinteressata agli occhi dell’uomo con la forza di una resurrezione per il suo corpo segnato dal dolore e dalla sconfitta. La felicità sulla Terra può esistere, e cercarla non solo ha senso, ma è forse l’unica cosa che abbia senso fare. Ora l’uomo ridicolo lo sa, l’ha vista e toccata con mano, il suo sogno gliel’ha inequivocabilmente mostrata, e ciò che si è visto c’è, non può non esserci. La sua condizione non gli è più di peso, e il tempo della sua vita ora è un tempo pieno, un tempo di parole da regalare, di semplici verità da confidare, senza patemi, a chi, casomai, tra una risata e l’altra le volesse ascoltare.

 

Note di regia

Un uomo qualunque sa di non essere considerato come vorrebbe, di non essere creduto: non solo, di essere addirittura costantemente deriso per ciò che pensa e dice. Dove può, quest’uomo, trovare la forza di continuare a vivere? Come può entrare in relazione con gli altri?  Nel suo cuore ferito e consapevole, la vita, a poco a poco, non può che spegnersi. Perché la sua esistenza abbia un senso è necessario che qualcuno gli risponda. E’ indispensabile che quella piccola fiammella che arde dentro di lui si alimenti attraverso uno scambio di attenzione, di affetto, di amore.

Ma se tutto ciò gli viene a mancare, niente vale più la pena.

All’improvviso accade però che quest’uomo, afflitto dall’inutilità di essere al mondo, riprenda forza e vigore attraverso un sogno e ritrovi la volontà e la gioia di vivere. Ha deciso infatti di trasmettere agli altri la propria straordinaria esperienza, basata su una verità incontrovertibile, tanto semplice ed evidente da non essere vista: l’amore salverà l’umanità e ciò che la circonda.

Questo è ciò che lo stravagante  protagonista vuole comunicarci.  E per questo viene scambiato per un pazzo. In fondo, il testo di Dostoevskij sta tutto qui.

La nostra scelta per rappresentarlo è stata radicale. Abbiamo prosciugato ogni aspetto predicatorio, cercando di far emergere oltre che un valore religioso più universale, anche una visione profeticamente apocalittica del mondo contemporaneo su cui poter riflettere, filtrata però attraverso il candore e la simpatia del protagonista.

Sulle tavole di un teatro in disarmo, in uno spazio svuotato, uno spazio destinato alla finzione in cui non c’è più niente da fingere, assistiamo al confronto fra uno strano individuo e le sue avventurose fantasie;  una specie di clown, che vorrebbe svelare una verità importante a coloro che lo ascoltano ma non intendono prenderlo sul serio. Lui ne è cosciente e ne soffre. Ma in fondo non gli importa. Basta che il suo messaggio salvifico prima o poi raggiunga qualcuno e risvegli le anime morte delle persone che incontra.

Se ponessimo,  per un attimo, l’attenzione  sulle piccole meschinità quotidiane che tutti noi commettiamo nei confronti degli altri, allora capiremmo quante volte perdiamo l’occasione di tendere una mano a un nostro simile in difficoltà per trasmettergli anche il più semplice gesto d’amore.

L’ egoismo, la corruzione, la malvagità non sono inevitabili, il Male non è insito nella natura umana; una nuova via è possibile, una nuova umanità, in pace con se stessa e con la Terra, può nascere e prosperare. Dostoevskij sceglie, per diffondere “la lieta novella”, un uomo insignificante, un emarginato: proprio dai più umili può iniziare il riscatto.

                                                                                                                                     Lorenzo Loris

“Facciamo gesti d’amore e saremo belli. “                          

Dostoevskij visionario. I suoi romanzi cupi, tormentati hanno continui squarci fantastici che ci portano in altri mondi, in altre epoche, in altre dimensioni. I suoi personaggi hanno continui slanci fuori dalla loro realtà, dalla loro esistenza dolorosa, umiliata, frustrata. Spesso, è vero, siamo trascinati in incubi, angosciose immersioni nel subconscio, messaggi disperati, previsioni apocalittiche. Penso ai sogni di Raskolnikov in “Delitto e castigo”: la cavallina che viene crudelmente uccisa dal padrone, anticipazione dell’omicidio della vecchia usuraia, o l’incubo finale in cui l’umanità è distrutta da microbi micidiali fautori di follia. E ancora nei “Fratelli Karamazov” il poema che Ivan inventa per il fratello Alioscia: il Grande Inquisitore, torvo personaggio che affronta Cristo ridisceso sulla terra, lo aggredisce, lo incalza con la sua logica spietata, lo respinge. Ma ci sono anche sogni liberatori, sereni, attimi di sospensione in cui l’uomo si ritrova fuori dalla sua tormentata quotidianità e vive sospeso in una beatitudine che gli sembra irreale. Ricorrente nei romanzi della maturità è il sogno della cosiddetta “età dell’oro”, presente ne “L’adolescente”, ne “I demoni”: il sogno di un’umanità felice, in pace, senza conflitti, il sogno di una natura intatta, di un’armonia che abbraccia tutto il creato. E in questo sogno affiora il grande tema dell’amore: l’uomo, ci dice Dosotevskij, è nato per amare, per dividere con i propri simili affetto, tenerezza, comprensione. E se siamo circondati da violenze, delitti, perversioni, guerre cerchiamo anche noi di far affiorare il sogno (forse, appunto, il sogno di un uomo ridicolo) di un’altra possibilità più umana, per noi umani. Troppo spesso ce ne dimentichiamo, anche noi travolti dal nostro quotidiano affanno: ma è così semplice un gesto d’amore verso chi ci sta vicino. Ecco quello che l’uomo ridicolo vuole predicare: amatevi. E lo prendono per pazzo. Non importa. Basta che il messaggio arrivi. Cadrà nel vuoto, forse. O germoglierà. E allora forse qualche frammento dell’età dell’oro si realizzerà su questa nostra terra così desolata. La bellezza salverà il mondo, ci dice Dostoevskij ne “L’idiota”: non è la bellezza esteriore, è una bellezza interiore che nasce dall’amore. Facciamo gesti d’amore e saremo belli.   

Fausto Malcovati 

Due righe su “L’Uomo ridicolo”

Se qualcuno mi fermasse per strada promettendo di rivelarmi la magica parola che da sola avrebbe la forza di rimettere ogni cosa in ordine su questa nostra Terra, probabilmente tirerei dritto. Sorriderei forse, per educazione, ma tirerei dritto. Lo spirito dei tempi non vede di buon occhio l’utopia. Siamo tutti orgogliosamente pieni di concretezza, di cose da fare, di fatti-non-parole. L’idea che ogni cosa possa davvero cambiare, che il mondo possa diventare molto migliore, che si possa trovare infine la felicità su questa Terra, ci appare perfino ridicola. Roba per adolescenti, per adepti di qualche nuova o vecchia religione, per visionari con la testa fra le nuvole. Forse le cose stavano già così ai tempi di Dostoevskij, o forse no. Sta di fatto che in questo racconto non c’è un tempo e non c’è uno spazio: non siamo necessariamente in Russia, nessun dettaglio la richiama al di fuori del nome dell’autore, e non si percepisce sullo sfondo una precisa epoca storica. L’uomo ridicolo potrebbe abitare ovunque e in qualunque tempo: per questo mi piace, e ci è piaciuto, pensare a lui come a qualcuno che giri tra noi, con il suo carico di sconfitta e umiliazione e il suo sogno da raccontare. Con la sua utopia da comunicare: ridicola quanto lui stesso sa di essere, ma proprio per questo più lieve e perfino meno compromettente all’ascolto.

                                                                                                                                                          Mario Sala

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Orari spettacoli martedì, mercoledì e venerdì ore 20.45; giovedì e sabato ore 19.30; domenica ore 16.00

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