La realtà di un collezionismo autarchico

Per osservare, con una prospettiva adeguata questa splendida raccolta di dipinti provenienti da collezioni private e individuarne una costante poetica occorre innanzitutto considerare che Brescia, nel periodo che va dal XIV al XVIII secolo, era un territorio di confine della Repubblica di San Marco.

Questa città arroccata respirava inevitabilmente della visione proveniente dalla laguna veneziana, pur rivendicando con orgoglio un’accanita “ruralità” legata alle aspre caratteristiche del suo paesaggio.

Le idee rinascimentali sulla centralità dell’uomo in rapporto alla realtà, faticarono ad entrare nel territorio veneziano che aveva già elaborato una propria visione, anche pittorica, come dimostra il meticoloso polittico di San Siro proveniente dall’antica Pieve di Cemmo con la Madonna dell’Umiltà e santi che nella loro purezza testimoniano una realtà locale ancorata al gusto gotico internazionale.

Parallelamente al Mantegna a Padova anche in ambito bresciano sarà con Vincenzo Foppa (Bagnolo di Mella, 1430 ca. – Brescia, 1516), di lui in mostra le tavole di San Giovanni Battista e Santo Stefano provenienti dal perduto altare Doria della Certosa di Rivarolo, che testimoniano come la centralità dell’uomo in rapporto alla realtà naturale entri a far parte di una visione pittorica disincantata e pienamente razionale.

     

Le opere del Savoldo (Brescia, 1485 ca. – Venezia, 1548 ca.), Moretto (Brescia, 1498 – 1560) e di Girolamo Romanino (Brescia, 1484/87 – 1560), sua una splendida Madonna con il Bambino e San Paolo, testimoniano come nel corso del XVI secolo anche la realtà locale, inevitabilmente influenzata dalla grandezza degli artisti allora operanti in laguna, Giovanni Bellini, Giorgione e Tiziano su tutti, modulasse una propria visione che trovava nell’attinenza al dato naturale e alle fisionomie locali i propri punti di forza, pur non tralasciando dimostrazioni di grande raffinatezza cromatica.

E’ proprio nel corso del Cinquecento che a Brescia si va formando una visione pittorica autonoma, più ancorata alla terra, meno ariosa di quella lagunare, che per questo motivo si ama definire realista.

Di fatto però l’attinenza al dato naturale, pur tra alti e ridicoli bassi, come l’improbabile epopea con nani e pigmei raccontataci da Faustino Bocchi (Brescia, 1659 – 1741), oppure seguendo la scia del vedutismo veneziano negli scorci cittadini con Francesco Battaglioli (Modena, 1722 ca. – Venezia, 1787 ca.), anche nei secoli successivi rimane una costante poetica, cara alle scelte di questo territorio.

   

Sarà un grande interprete come Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto (Milano, 1698 – 1797), sia con le sue straordinarie nature morte, sobrie, testimoni di una profonda capacità d’osservazione, attraverso una pittura essenziale che mira a trascendere la realtà del puro dato naturalistico, che con una vera e propria sequenza di ritratti e situazioni quotidiane tratte dalla vita del popolo, come La spillatura del vino o Donne che lavorano, ad esprimere attraverso la grande passione per l’umanità dei suoi personaggi, una poetica dove il termine “realismo” coincide con il segnalare un’autentica pietà cristiana.

 

Vladek Cwalinski   

 

Moretto, Savoldo, Romanino, Ceruti

100 capolavori dalle collezioni private bresciane

Palazzo Tosio Martinengo, fino al 1 giugno 2014

  

02 – Vincenzo Foppa, San Giovanni Battista e Santo Stefano, olio su tavola, 160 x 60 cm. Brescia, collezione Ubi Banco di Brescia 

 

05 – Girolamo Romanino, Madonna col Bambino e San Paolo, olio su tela, 93 x 120 cm.   Brescia, collezione Ubi Banco di Brescia 

 

07 – Giovan Girolamo Savoldo, Riposo durante la fuga in Egitto, olio su tela, 30 x 40 cm.  Brescia, collezione Ubi Banco di Brescia  

 

13 – Giacomo Ceruti, Natura morta con pesci su tavolo, olio su tela, 64 x 81 cm

 

31- Giacomo Ceruti, Giovane donna con cesta, olio su tela, 75 x 60 cm

 

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