Milano BERENICE ABBOTT Realtà e sperimentazioni di una grande fotografa

Berenice Abbott nacque a Springfield, nell'Ohio dove crebbe con la madre divorziata. Iniziò gli studi alla Ohio State University, che però abbandonò agli inizi del 1918. Nello stesso anno si trasferì con i suoi amici dell'università al Greenwich Village di New York, dove venne ospitata dall'anarchico Hippolyte Havel e condivise una grande casa nella Greenwich Avenue insieme        ad altre persone, tra le quali la scrittrice Djuna Barnes, il filosofo Kenneth Burke, ed il critico letterario Malcolm Cowley. Mentre studiava scultura conobbe Man Ray e Sadakichi Hartmann.

Si recò in Europa nel 1921, passando due anni a studiare scultura a Parigi e Berlino.

Oltre al suo lavoro nelle arti visive, la Abbott pubblicò anche delle poesie nella rivista di letteratura sperimentale transition. Il suo interesse nella fotografia nacque nel 1923, quando Man Ray, che era alla ricerca di qualcuno che non sapesse assolutamente niente di fotografia e facesse quindi solo quello che gli veniva detto, la assunse come assistente alla camera oscura nel suo studio di Montparnasse. In seguito la Abbott scrisse: “Mi avvicinai alla fotografia come un'anatra si avvicina all'acqua. Non ho mai voluto fare niente altro,” Ray fu impressionato dai suoi lavori e le permise di usare il suo studio. Nel 1926 la Abbott tenne la sua prima mostra personale (nella galleria “Au Sacre du Printemps”) e avviò un suo studio, in Rue du Bac. Dopo un breve periodo passato a studiare fotografia a Berlino, fece ritorno a Parigi nel 1927 e avviò un secondo studio, in Rue Servandoni.

Berenice Abbott si concentrò sulle persone del mondo artistico e letterario: francesi (Jean Cocteau), espatriati (James Joyce), e persone di passaggio in città. Nel 1925 venne introdotta da Man Ray alla fotografia di Eugène Atget. Divenne così una grande ammiratrice delle sue opere, più di quanto lo fossero lo stesso Ray e la sua cerchia, e nel 1927 riuscì a convincerlo a posare per un ritratto.        La Abbott contribuì a valorizzare le opere della sua “maestra” dopo la morte di lei, acquistando negativi e stampe e catalogandoli. Grazie ai suoi sforzi continui aiutò la Atget ad ottenere un riconoscimento internazionale. Berenice iniziò a documentare New York nel 1929; fotografò New York City con la stessa attenzione ai dettagli e la diligenza che aveva appreso dalla carriera di Eugène Atget. La sua opera ha fornito una cronaca storica di molti edifici e isolati oggi demoliti di certo valore. In un periodo seguente alla grande crisi economica così ebbe ad esprimersi nei riguardi di quello che realizzava: “Nel caso particolare di New York – i contrasti, i cambiamenti veloci mi hanno ispirato. Lo sguardo di una città in movimento necessita di una dettagliata trama e prospettiva”.

Lo stile diretto della sua fotografia aiutò la Abbott a dare un importante contributo alla fotografia scientifica. Nel 1958 produsse una serie di fotografie per un libro di testo di fisica per le scuole superiori. Nel 1947 diede anche vita alla "House of Photography", per promuovere e vendere alcune delle sue invenzioni. Tra queste un cavalletto per distorsioni, che creava effetti insoliti nelle immagini sviluppate in camera oscura, e la lampada telescopica, oggi nota da molti fotografi di studio come Autopole, alla quale le luci possono essere attaccate a qualsiasi altezza. Nel 1934 Henry-Russell Hitchcock chiese alla Abbott di fotografare due soggetti: l'architettura prebellica e l'architettura di H. H. Richardson. Due decenni dopo la Abbott e la McCausland viaggiarono lungo la US 1 dalla Florida al Maine, e la prima fotografò le piccole cittadine e la crescente architettura legata all'automobile. Il progetto produsse oltre 2.500 negativi. Poco dopo la Abbott subì un intervento ai polmoni. Le venne detto che a causa dell'inquinamento dell'aria sarebbe stato nel suo interesse allontanarsi da New York. Comprò una casa diroccata nel Maine per soli mille dollari.      Il suo lavoro nel Maine continuò anche dopo la fine di quel progetto e il suo trasferimento in tale stato, e produsse il suo ultimo libro “A Portrait of Maine” (1968). Rimase in quel territorio fino al 1991, quando morì. La Abbott fece parte del movimento della “straight photography” che sottolineava l'importanza di avere fotografie non manipolate né per quanto riguarda il soggetto, né per quanto riguarda il processo di sviluppo. Era inoltre contro i pittorialisti come Alfred Stieglitz, che avevano guadagnato molta popolarità durante un notevole periodo della sua carriera, e che quindi lasciarono il suo lavoro senza supporto da parte di questa particolare scuola di fotografi.

 

 

Nel corso di tutta la sua carriera, la fotografia della Abbott consistette molto nel mettere in mostra l'aumento dello sviluppo nella tecnologia e nella società. le sue opere documentano e lodano il panorama di New York. Tutto ciò fu guidato dalla sua convinzione che un'invenzione moderna come la macchina fotografica meritasse di documentare il XX secolo.

“Una fotografia non è un dipinto, una poesia, una sinfonia, una danza. Non è solo una bella immagine, non un virtuosismo tecnico e nemmeno una semplice stampa di qualità. È o dovrebbe essere un documento significativo, una pungente dichiarazione, che può essere descritto con un termine molto semplice: selettività”. Queste sue parole sono riportate in un pannello all'interno della mostra che la Galleria Carla Sozzani le dedica distinguendo le varie fasi del suo percorso lavorativo,

dalla fotografia documentaria al realismo fino alle sperimentazioni più estreme e astratte (per diverso tempo è anche photo-editor della rivista “Science Illustrated”). In opposizione al pittorialismo di Alfred Stieglitz, le immagini di Berenice sono precise rappresentazioni del mondo reale – visibile e invisibile – realizzate con esattezza e precisione scientifica.

In questa retrospettiva vediamo solo una ristretta selezione di ritratti di grandi personalità della cultura dell’epoca: scrittori, drammaturghi e artisti passati alla storia e immortalati dal suo obiettivo come i maestri Eugène Atget e Man Ray, ma anche James Joyce, Jean Cocteau, Sylvia Beach, André Gide, Marcel Duchamp, Tsuguharu Foujita, Max Ernst, Marie Laurencin.

Nella libreria a fianco dello spazio espositivo è disponibile in vendita una pubblicazione in lingua inglese edita da “Thames & Hudson PHOTOFILE, con un testo introduttivo di Hank O’Neal e riprodotte molte delle immagini esposte in mostra.

 

Galleria Carla Sozzani – Corso Como 10, Milano; fino al 6 Gennaio 2014

Orari: lun15.30-19.30; mart, ven, sab e dom 10.30-19.30; mercol e giov 10.30-21

Per informazioni: Tel. 02-653531; sito Internet: www.galleriacarlasozzani.org

 

Fabio Giuliani

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