L’attualità di Rotella

 

Ancora oggi quando si pensa a Mimmo Rotella, a distanza di tanti anni, non si può fare a meno di riconoscere che sin da un dopoguerra (dal quale l’Italia era uscita malconcia e dove negli anni della ricostruzione aveva guardato con stupore a una vera e propria bonaria invasione dell’american dream soprattutto attraverso la filmografia)  ha saputo, con un’unica intuizione geniale, non solo creare un genere d’arte che prima non esisteva, ma gettare nuova luce su uno scarto in qualche modo industriale, legato a una non ancora società dei consumi, come i manifesti pubblicitari affissi sui muri, al quale nessuno prima di lui aveva mai fatto caso, né tanto meno considerato come componente estetica decisiva della fine dell’era moderna.

 

 

 

 

 

 

 

Se prima di lui, soprattutto in Francia, già tanti, da Picasso a Braque, da Severini a Juan Gris, avevano utilizzato frammenti di carta di giornale o da pacco come insostituibile materiale per i loro papier collé, mai nessuno aveva pensato, di considerare i manifesti strappati e laceri, tali e quali come potevano trovarsi affissi per le vie e le piazze della Roma di quegli anni, come opere a sé stanti, già pronte all’uso.

 

 

 

 

 

 

 

L’intuizione di Rotella ha in sé sin da subito, si osservi Un poco in su (1954) o Come un arazzo (1956) ma anche Argentina (1957) o Vivo (1958) tra gli altri a questo proposito, una forza dirompente soprattutto se si considera che quelli erano gli anni dominati in arte dal dibattito tra pittura figurativa e informale, (che a sua volta vantava tutta una serie di dibattiti interni tra astrattismo lirico o concreto) con un lento avanzare della seconda che costringeva, salvo rarissime grandiose eccezioni, i figurativi a trincerarsi in posizioni difensive sempre più arroccate.

 

Rotella entra in questo scenario con una terza componente che scombussola i termini di un problema estetico che avrebbe potuto ridursi a un dibattito di maniera.

 

«Rimasi affascinato dai muri tappezzati di manifesti lacerati. /…/ Sicché la sera cominciavo a lacerare questi manifesti, a strapparli dai muri, e li portavo in studio, componendoli o lasciandoli tali e quali erano, tali e quali li vedevo. Ecco come è nato il “décollage” ».

 

La sua opera indica che la casualità della forma si può trovare in natura, già pronta così com’è grazie all’incontrollabilità, delle intemperie che agiscono sia sui muri di supporto sui quali i manifesti sono affissi, che sulla loro superficie.

 

I manifesti una volta presi, strappati e in alcuni casi divelti (come ci mostrano alcune belle foto presenti in mostra) possono anche essere anche guidati a ottenere effetti di composizione legati alla materia, oppure al colore, quindi inseribili nell’ambito dell’informale, ma con una prospettiva ancora attuale e radicalmente diversa. 

 

Vladek Cwalinski

 

 

 

 

Mimmo Rotella – “Retro d’Affiche”

Fondazione Marconi, via Tadino 15, Milano

Fino al 15 maggio 2013

www.fondazionemarconi.org

 

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