Horror vacui di confine di Vladek Cwalinski

Líndos è un antico villaggio, situato a cinquanta chilometri a sud di Rodi, costruito su una scogliera che si apre su un’incantevole baia.

Già abitato nel 3000 a. C. è formato da case completamente bianche e nelle sue minuscole vie ci si sposta, ancora oggi, soltanto a piedi o a dorso d’asino.

Dimenticato per secoli, anche se non dai marinai di passaggio diretti verso le vicine coste dell’Asia Minore, questo villaggio di pescatori ridivenne popolare nelle cronache occidentali verso la fine degli anni Sessanta, all’epoca della beat generation quando i Pink Floyd ci vennero tutti in vacanza e David Gilmour, il loro chitarrista e cantante, incantato dalla bellezza del luogo decise di acquistare qui una casa, che tutt’ora possiede.

L’antica Acropoli greca con i resti del tempio di Atena (IV Secolo a. C.) che sorge sull’unica altura rocciosa a precipizio sul mare, domina tutte le sue costruzioni, che presentano una curiosa contaminazione pressoché inalterata tra antichi elementi bizantini, arabi e medievali.

Percorrendo le sue erte vie lastricate di pietre, ad alcune centinaia di metri dalla piazza principale, ci s’imbatte nella piccola chiesa greco-ortodossa della Panagía, che significa “tutta bella”, termine che i cristiani orientali usano per indicare che Maria Vergine è immacolata e realmente madre di Cristo. 

Costruita originalmente alla maniera bizantina, nel XIV secolo, da allora è stata oggetto di numerosi rimaneggiamenti, il più importante dei quali fu ordinato nel 1489-90 dal Gran Maestro Pierre d’Aubusson (1476- 1503), quando i cavalieri di Rodi vi si erano stanziati e avevano preso possesso dell’antica Acropoli, fortificandola.

La Panagía di Líndos si presenta come un semplice edificio bianco ottagonale, costruito con pianta a croce greca, sormontato da una cupola semisferica centrale e da quattro cupolotti laterali ricoperti da tegole rosse.

Sorge improvvisa tra i muri delle case, accanto a un curioso campanile affusolato in locale pietra tufacea, circondata da alte mura bianche che racchiudono un cortile alberato.

Ma lo spettacolo offerto da questa piccola chiesa di paese è tutto nascosto.

Al suo interno si ha l’impressione di trovarsi in una grossa botte completamente affrescata.

 

Una composizione a riquadri, dipinta da Gregorio di Simi nel 1779, copre interamente le pareti curve dell’unica navata, utilizzando tutta la superficie a disposizione, con episodi dell’Antico Testamento, dei Vangeli, dell’Apocalisse e figure di Santi e Martiri.

L’incredibile decorazione, straordinariamente fedele all’antica iconografia bizantina ortodossa, dove ogni immagine assolve la funzione di tramite con Dio e quindi è essa stessa sacra, s’armonizza con l’iconostasi dorata intagliata nel legno scuro e con un caratteristico pavimento a mosaico, tipico delle isole del Dodecaneso, chiamato chocklakia, composto da ciottoli di mare bianchi e neri, incastrati insieme a formare un caleidoscopio di disegni geometrici in rilievo.

L’effetto complessivo è di trovarsi davanti a una sovrabbondanza di corpi e volti, una sorta di horror vacui di chiara origine bizantina.

Questa necessità di realizzare una decorazione continua, ininterrotta, simile a una litania ripetuta incessantemente nel tempo, a un tessuto ricamato, caratterizza anche le antiche dimore signorili di Líndos.

Costruite perlopiù nel XVII secolo queste case tradizionali, chiamate archontiká appartenevano ai ricchi capitani delle navi di Rodi che commerciavano con la Grecia e la vicina Turchia.

Le loro facciate presentano delle straordinarie incisioni di forme più antiche di tipo bizantino, croci inserite su motivi decorativi astratti ad intreccio, dove compaiono fiori, piante e animali. 

Costruite secondo l’antica tradizione ellenica, attorno a un cortile centrale, spesso decorato con mosaici chocklakia continuamente bagnati d’estate per mantenere fresche le case, con un alto muro che le protegge dai rumori esterni, presentano nei soffitti lignei a travatura delle loro sale di ricevimento al pian terreno, decorazioni a colori vivaci con motivi simili.

Queste coincidenze lasciano intuire che nelle isole del basso Dodecaneso a ridosso delle coste turche si sarebbe sviluppato dal XV al XVIII secolo uno stile decorativo locale, vivace ed espressivo, memore delle antiche radici bizantine degli abitanti.

Una forma d’arte per affermare un’identità comune, si potrebbe dire.

Soluzioni analoghe infatti si possono trovare anche nel monastero di Moni Taxiàrchi Michaïl Panormítì, situato in un’insenatura, nella parte più a sud della vicina isola di Simi.

Costruito nel 1783 sui resti d’un monastero bizantino molto più antico, già dedicato all’arcangelo Michele, patrono dell’isola e protettore dei marinai, presenta al suo interno un bellissimo affresco realizzato dai fratelli Nikítas e Michaïl Karakostís nel corso del XVIII secolo.

Il grande dipinto ricopre interamente le pareti, il soffitto e persino i costoloni della navata attraverso la consueta ripartizione a riquadri, con una sovrabbondanza di episodi, ambienti, figure, volti, da dare l’impressione al visitatore di trovarsi letteralmente dentro una Bibbia illustrata.

La presenza diffusa di candelabri pendolanti dal soffitto, la ricca iconostasi barocca intarsiata nel legno, opera di Mastrodiákis Taliadoúros, confermano la sensazione di trovarsi in un monastero orientale.

Il monastero di Panormítì conserva anche un’incredibile icona, decisamente più antica della sua data di fondazione, di proporzioni più grandi del naturale, dell’arcangelo Michele, raffigurato come un gigantesco guerriero ricoperto da una corazza d’argento.

Il suo aspetto marziale testimonia ancora una volta la tenace difesa dell’eredità bizantina da parte degli abitanti di queste isole del mar Egeo, situate al confine tra Europa e Asia Minore.

 

 

Vladek Cwalinski

 

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