L’ultimo cantore della Serenissima di Vladek Cwalinski

 

Francesco Guardi (1712 – 1793), dopo Tiepolo e Canaletto, fu uno degli ultimi grandi pittori della Serenissima.

In lui la decadenza della Repubblica di San Marco, che porterà alla sua caduta il 12 maggio del 1797 sotto la concreta minaccia d’assedio da parte delle truppe napoleoniche, diventa coscienza della fragilità urbanistica della città stessa e malinconia nel descrivere le tradizioni e le abitudini dei suoi abitanti, come un presentimento di un processo di disfacimento già in atto.  

E’ questa presa di coscienza storica del declino l’origine di quella dissoluzione del tratto, che tanto caratterizza il suo modo di dipingere e di raccontare la vita veneziana del suo tempo.

Dimenticato per lunghi anni dopo la sua morte sarà riscoperto il suo valore in Francia a metà Ottocento e riconosciuto come un anticipatore della pittura di paesaggio.

 

Da Corot a Rousseau, in Francia, da Turner a Constable, in Inghilterra, in molti nel corso dell’Ottocento guarderanno a Guardi e al suo modo così originale di dipingere la luce e l’atmosfera, come a un autentico maestro a cui ispirarsi.

“Il Guardi è molto più vivo del Canaletto; è un colorista più originale, un talento più personale, e nessuno è superiore a lui nel suo genere quando segue e realizza il suo pensiero. Ha goduto di non poca considerazione da parte dei contemporanei, tuttavia si può dire che è il nostro tempo che l’ha scoperto e gli ha dato il suo vero posto. La sua prodigiosa facilità e la vivacità spiritosa dell’esecuzione, la grazia piccante, unite alle qualità atmosferiche di trasparenza e di luce rimaste insuperate, fanno di lui un pittore a sé, davanti al quale il Canaletto stesso /…/ diviene un artista freddo e sbiadito”, scriveva di lui Charles Yriarte in una sua monografia su Venezia del 1878.

Ora, in occasione del terzo centenario della sua nascita una grande retrospettiva al Museo Correr ripercorre interamente la sua parabola artistica, attraverso settanta dipinti e altrettanti disegni, dai temi sacri affrontati in gioventù alle prime vedute, dai paesaggi ai capricci che testimoniano ancora la bellezza delle feste e le cerimonie della Serenissima, sino alle splendide e malinconiche vedute che caratterizzano i suoi ultimi anni.

Guardi aveva incominciato il suo apprendistato nella bottega del padre Domenico (1678 – 1716) accanto ai fratelli Giovanni Antonio (1699 – 1760) e Nicolò (1715 – 1786), dipingendo prevalentemente commissioni con temi sacri, storici e mitologici, con una visione emotiva caratterizzata dai forti contrasti chiaroscurali

Legate alla sua giovinezza sono le opere, come il Ridotto e il Parlatorio delle monache di San Zaccaria, che descrivono alcuni aspetti caratteristici della vita di Venezia (un vero e proprio genere di pittura a sé caratterizzato dall’arguzia e dallo spirito di osservazione, divenuto famoso in quegli anni soprattutto grazie all’opera di Pietro Longhi), cogliendoli direttamente dal vivo, come un cronista e riportandoli non senza un certo gusto per l’aneddoto e l’episodio curioso. 

Ma è attorno ai quarant’anni che incomincia a dipingere le sue prime vedute cittadine soprattutto Piazza San Marco, verso la Basilica, la torre dell’orologio e Palazzo Ducale, e il suo Bacino, con lo sguardo rivolto verso punta della Dogana e Santa Maria della Salute.

Canaletto si era trasferito da poco in Inghilterra e Guardi provava a rivolgersi ai suoi collezionisti, perlopiù stranieri, appassionati della laguna e desiderosi di portarsi con sé in patria un paesaggio ricordo, ispirandosi alle sue composizioni e a quelle di Michele Marieschi, nel tentativo di controllare attraverso il paragone con la meticolosità dei due vedutisti più anziani il suo temperamento ben diverso.     

La sua indole spumeggiante si affermerà ben presto nei paesaggi e nei capricci (come quelli dell’Ermitage di San Pietroburgo e del Metropolitan di New York) con una pittura d’invenzione eseguita su un disegno frammentario, composta da spezzature rapide, sciabolate e guizzi di colore, tocchi vibranti e violenti, in grado di rielaborare in squisite composizioni di fantasia soluzioni, con architetture classiche inserite in ambienti naturali, osservate in dipinti e incisioni di altri maestri.

Paradigmatiche del gusto rococò sono anche le tele dedicate alle feste dogali (Guardi infatti fu l’ultimo grande cronista pittorico delle tradizioni di popolo civili e religiose della Serenissima), come Il doge di Venezia sul Bucintoro a San Nicolò del Lido il giorno dell’Ascensione del Louvre, caratterizzata da un allegro ritmo musicale ottenuto dal libero vagare di navi, barche e gondole nella laguna e dal tratto nervoso, sintetico e scattante con il quale sono descritti equipaggi e gondolieri.

Ma è con le opere della vecchiaia che la sua pittura diventa sempre più libera, disarticolata e allusiva, come nelle due Vedute di Madrid dove le gondole sono disseminate nel Canal Grande come note sparse su un pentagramma, barcaioli e particolari architettonici dei palazzi sono risolti calligraficamente con macchie di colore, trattini, luci improvvise, puntini, avvolti nell’atmosfera unica del cielo che si riflette nell’acqua.

 

Vladek Cwalinski

 

Francesco Guardi

Museo Correr, Piazza San Marco, Venezia

Fino al 6 gennaio 2013

Catalogo Skira

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