L’identità dell’alto Adriatico di Vladek Cwalinski

Salendo in cima al campanile della Basilica Eufrasiana dell’antica città romana di Poreč (Parenzo), situata a nord della costa istriana e guardandosi attorno si distingue immediatamente l’agglomerato delle case e palazzi del suo centro storico, racchiuso fra mura e torri faro che caratterizzano questo porto fortificato dell’alto Adriatico.

Poreč oggi è una città croata, ma un tempo era un dominio della Serenissima (per poi passare all’impero Austroungarico, Napoleone, Regno d’Italia e, al termine della II guerra mondiale, alla Jugoslavia di Tito), uno dei tanti presidi fortificati, come Pola, Spalato, Dubrovnik (l’antica Ragusa), punti di sosta e approvvigionamento per le navi veneziane che percorrevano le rotte della sponda est adriatica, dirigendosi verso il Mar Egeo.

Dal I secolo Poreč era stata elevata a Colonia romana col nome di Iulia Parentium (al centro di quell’area che ancora oggi parte dal Friuli Venezia Giulia con Aquileia) e già nel III secolo era diventata sede di una delle prime comunità cristiane dell’Histria che allora era guidata da Mauro, primo vescovo parentino, e si riuniva in una domus ecclesiae ricavata in una sala da pranzo (triclinium) patrizia.

Mauro subì il martirio durante la grande persecuzione di Diocleziano attorno al 305 e le sue spoglie furono traslate dal vicino cimitero e inizialmente conservate in questo luogo dove fu edificata una prima basilica verso il 380.

La costruzione era formata da tre ambienti, l’ecclesia per la messa, il martyrium per la custodia delle reliquie del martire e il catechumeneum per l’insegnamento ai catecumeni, con pavimenti a mosaico, in parte rimasti. 

A partire dal 553 sullo stesso terreno fu costruita l’attuale basilica dedicata alla Vergine Maria utilizzando parti dell’edificio precedente.

Il vescovo Eufrasio l’aveva promossa con forza perché quella più antica era stata così trascurata da cadere in rovina, aveva ordinato anche marmi provenienti dall’isola di Prokonnesos e commissionato mosaici ad artisti bizantini in collaborazione con maestri locali.

Nei mosaici del catino absidale infatti è ancora possibile leggere un lungo testo latino a lettere bianche su fondo blu che spiega dettagliatamente i motivi di tale opera: “All’inizio questo tempio era danneggiato e praticamente in rovina; non era solido né resistente, ed era anche piccolo e senza grande decorazione a mosaico; il tetto logoro si reggeva soltanto grazie alla potenza dei santi. Non appena Eufrasio, sacerdote premuroso e di fervida fede, vide che la cattedrale sarebbe crollata sotto il suo stesso peso, prevenì con il santo pensiero il crollo del tempio. Demolì l’edificio in rovina, per innalzarne uno più dignitoso; pose le fondamenta ed eresse il tempio fino al tetto. Quello che ora vedi risplendere grazie agli svariati mosaici decorativi, questo lo completò lui, decorò l’impresa con grande generosità. La chiesa la consacrò al nome di Cristo. Lieto per l’opera esaudì felicemente il voto”.

Oggi si accede alla Basilica Eufrasiana da un portale d’ingresso che dà su un’antica strada romana lastricata in pietra nel centro storico di Parenzo, da qui si giunge a un atrio colonnato, realizzato contemporaneamente alla basilica nel VI secolo, con colonne provenienti da Costantinopoli e capitelli bizantini filigranati in marmo bianco.

Adiacente si trova un battistero ottagonale (VI secolo), che un tempo doveva essere internamente affrescato, contenente una vasca battesimale per immersione (seconda metà III secolo) esagonale, in marmo, che documenta la reale esistenza della domus ecclesia originaria parentina.

Salendo per una ripida scala adiacente si arriva in cima al campanile originariamente romanico, ma ricostruito nel 1522, che offre una vista incredibile.

Percorrendo il lato destro dell’atrio e voltando a destra ci si trova all’aperto, tra le mura difensive della città e una parete laterale dell’Eufrasiana, accanto alla quale è ancora conservato il pavimento romano mosaicato dell’oratorio più antico dedicato a San Mauro (IV secolo).

Si accede all’interno della basilica Eufrasiana passando da una porta laterale che dà sulla navata sinistra, percorrendo un vano con altri resti di pavimentazioni musive più antiche.

I mosaici pavimentali rimasti, realizzati in epoche diverse (III-V secolo), presentano una grande varietà di decorazioni ornamentali tardo antiche a motivi geometrici intrecciati, con trecce, nodi gordiani, motivi floreali e spesso con i nomi dei donatori – come INFAN(tius) ET INNOC(entia) EX SUO P(avimentum) BAS(ilicae) TES(ellaverunt) P(edes) – che li commissionavano per adempiere a un voto privato.

Finalmente si entra accanto al catino absidale e subito si resta meravigliati dallo splendore dei mosaici che lo ricoprono.

L’interno della basilica è a tre navate divise da due serie di pilastri sormontati da nove coppie di capitelli (compositi corinzi, quelli a piramide tronca rovesciata con un intreccio perforato a decorazione vegetale, quelli ornati con animali e uccelli), che reggono arcate decorate a stucco, solo nella navata settentrionale, con diversi motivi simbolici come foglie e grappoli d’uva, pesci, pellicani, canestri di pane.

Lo sguardo va verso il catino absidale dove, al centro del semicerchio, si trova l’altare e il trono vescovile in marmo bianco separato da una recinzione marmorea (VI secolo) con lastre a motivi simbolici paleocristiani come il tralcio di vite con grappoli, pesci, pellicani e due cervi che bevono dal kantaros.

La parte inferiore è ricoperta con pietra d’Istria, incrostazioni marmoree, madreperla e smalti colorati (tra cui spiccano lapislazzuli, porfido e serpentino, tipici dell’arte bizantina) a formare ventuno campi rettangolari, che riprendono con undici combinazioni ornamentali diverse, disposte in parallelo, la divisione geometrica della pianta dell’Eufrasiana stessa e che recano il monogramma del vescovo Eufrasio.

Questi riquadri sono connessi con i mosaici superiori del catino absidale e dell’arco a formare un’unica decorazione che circonda l’altare e il ciborio.

L’arco di trionfo rappresenta Cristo Re dell’universo, con un libro in mano che recita Ego Sum Lux Vera, al centro dei dodici apostoli, sei per lato, vestiti con tuniche alla maniera dei romani.

Nell’intradosso sono raffigurati dentro clipei l’Agnello, al centro, ai lati dodici martiri cristiane dei primi secoli: le cartaginesi Perpetua e Felicita, Basilia di Sirmio, Cecilia, la romana Agnese, la catanese Agata, Eufemia di Calcedonia, Tecla, la francese Valeria, Susanna, Anastasia dello Srijem e Giustina di Padova. 

Il catino absidale vero e proprio raffigura la Vergine incoronata dall’alto seduta in trono col Bambino in braccio.

Sullo stesso prato fiorito, affiancati da angeli, si trovano anche l’arcidiacono Claudio col giovane figlio, il vescovo Eufrasio che porta un modello della Basilica e San Mauro, primo vescovo di Parenzo con la corona del martirio. 

Ai lati delle vetrate situate in posizione centrale si trovano i mosaici con l’Annunciazione, che presenta Maria, sorpresa dall’annuncio dell’angelo mentre sta cucendo, mentre la Visitazione raffigura il suo tenerissimo incontro con Elisabetta, con il bel particolare di una bambina curiosa dietro di loro che sposta la tenda della porta di casa e si sporge discretamente in avanti per partecipare al loro incontro. 

Questi mosaici bizantini (VI secolo) ai quali lavorarono maestranze d’artisti ravennati sono tra le più antiche rappresentazioni della Madonna rimaste nell’area Adriatica. 

 

 

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