Che Dario Fo sia uno straordinario uomo di teatro, premiato con il Premio Nobel per la letteratura nel 1997, è risaputo. Sorprende ora riconoscere in questa mostra la sua grande capacità pittorica, arte che ha accompagnato, e anzi preceduto da sempre, la sua attività. Scopriamo così dalle sue parole che egli si è sempre sentito prima di tutto pittore: “Dico sempre che mi sento attore dilettante e pittore professionista. Ancora oggi talvolta penso che la pittura sia il mio mezzo di espressione primaria. […] I miei lavori teatrali spesso nascono come immagini. Disegno prima di scrivere. Mi sono abituato piano piano a immaginare le commedie, i monologhi in un contesto visivo, e solo in seguito in quello del recitato.” Il profondo legame tra Dario Fo e la pittura trova espressione nella ricostruzione, a Palazzo Reale, della sua “Bottega d’artista”, un vero e proprio laboratorio creativo, dove la creazione pittorica si manifesta in disegni e dipinti, che sono un vero e proprio canovaccio portato poi sulla scena. Sono esposte un numero impressionante di opere, oltre 400, realizzate con una grande varietà di stili e di tecniche, che attraversano tutta la sua vita fin dalle pitture dei primi anni ai collages, agli arazzi e ai monumentali acrilici più recenti. Dario Fo fornisce ampia dimostrazione della sua inesauribile vena artistica, con la irriverenza tipica del guitto e del cantastorie. I suoi mezzi espressivi sono disegni, schizzi, acquarelli, bozzetti di costumi, fondali, ampie scenografie, locandine e stampe che sono diventati parte integrante della drammaturgia della sua Compagnia Teatrale, in sodalizio da sempre con Franca Rame. Grandi tele “parlanti”, che riproducono scene di dolente umanità, introducono alla mostra a rappresentare le guerre, il neo-colonialismo, le “zattere della Medusa” che affondano nel mare dell’indifferenza a Lampedusa, la torre di Babele della nostra in/civiltà, le macchine della tecnologia meccanica nello stabilimento Fiat, un enorme proscenio teatrale dove sugli operai ridotti a meccanismi troneggia la figura di Marchionne, deus ex machina, stritolato dagli ingranaggi. E’ lo stesso Dario Fo a preavvertire il visitatore nel “Quarto Stato”, una ripresa del famoso dipinto di Pelizza da Volpedo, che propone in primo piano “Dario e Franca” e una schiera di personaggi che sono tratti dalla commedia d’arte, di essersi “ispirato a Ruggeri Apuliese, famoso giullare senese del duecento, che cominciava più o meno così: Io son pittore e cantore, io son giullare e so gabbare in contrasto!” E prosegue: “Questi disegni, litografie e cartoni per affresco sono frutto di un lavoro che sta durando da almeno 60 anni”. La mostra accompagna poi il visitatore in un lungo viaggio attraverso la storia dell’arte, che muove i primi passi dalle incisioni preistoriche rupestri. Le impronte impresse sulle pareti delle grotte rappresentano la prima manifestazione di arte che rende immortale l’umanità, in combinazione con la sperimentazione di pratiche di sopravvivenza, quando per cogliere di sorpresa le prede l’uomo primitivo-cacciatore indossava la pelle della capra, rappresentando in quel momento, con quel gesto, il dramma, il canto del tràgos, da cui il termine tragedia. Ecco che in questo modo l’arte pittorica si mescola alla rappresentazione e così Dario Fo, passando attraverso l’insegnamento della commedia dell’arte e il disegno e la pittura di Marc Chagall che, senza dubbio, è il pittore che più l’ha influenzato, quello sicuramente più vicino alla sua visione figurativa, è riuscito a ricondurre all’unità due forme diverse del sapere umano, sempre però con il piglio e il ghigno del “matto” e del “sognatore”. Dario Fo a Milano, Lazzi Sberleffi Dipinti, 24 marzo – 3 giugno
San Giuliano Milanese, 17 aprile 2012
PAOLO RAUSA