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Esiste una tragedia inaudita, rimossa dai libri di storia, consumata fino a qualche giorno fa a pochi
chilometri dalle nostre case.
Alla fine della seconda guerra mondiale, migliaia di soldati e civili italiani rimangono intrappolati
in Albania con l’avvento del regime dittatoriale, costretti a vivere in un clima di terrore e oggetto di
periodiche e violente persecuzioni Con l’accusa di attività sovversiva ai danni del regime la
maggior parte viene condannata e poi rimpatriata in Italia. Donne e bambini vengono trattenuti e
internati in campi di prigionia per la sola colpa di essere mogli e figli di italiani. Vivono in alloggi
circondati da filo spinato, controllati dalla polizia segreta del regime, sottoposti a interrogatori,
appelli quotidiani, lavori forzati e torture. In quei campi di prigionia rimangono quarant’anni,
dimenticati.
Come il “nostro” che vi nasce nel 1951 e vive quarant’anni nel mito del padre e dell’Italia che
raggiunge nel 1991 a seguito della caduta del regime.
Riconosciuti come profughi dallo Stato italiano, arrivano nel Belpaese in 365, convinti di essere
accolti come eroi, ma paradossalmente condannati ad essere italiani in Albania e albanesi in Italia.
Ispirato a storie vere.
La prima stesura del testo è giunta nella cinquina dei finalisti al Premio Riccione per il Teatro 2011.