CENTRI CEFALEE : ULTIMA SPIAGGIA PER EMICRANICI INCONSAPEVOLI O INSODDISFATTI DEL TRATTAMENTO

CENTRI CEFALEE : ULTIMA SPIAGGIA PER EMICRANICI INCONSAPEVOLI O INSODDISFATTI DEL TRATTAMENTO 

Troppo poche diagnosi corrette e scarso utilizzo di trattamenti specifici per gli attacchi, i principali risultati dal primo studio osservazionale condotto in Italia su 1.000 pazienti in 10 Centri Cefalee.

Sono oltre 6 milioni le persone che, in Italia, soffrono di emicrania. E’ quindi ben il 10% della popolazione italiana, in maggioranza donne in età lavorativa, a sperimentare l’impatto negativo sulla qualità di vita che questa patologia porta con sé e ad avere una sola grande richiesta: poter tornare a condurre una vita affettiva, sociale e lavorativa normale.  Uno studio osservazionale, recentemente pubblicato su Cephalalgia, e condotto per un periodo di 3 mesi su 953 persone che per la prima volta hanno richiesto una visita in 10 tra i maggiori Centri per lo studio delle Cefalee, dimostra che in Italia questa richiesta è ancora ampiamente disattesa.  Basti dire che il 73% dei 953 pazienti presi in considerazione dallo studio non aveva mai ricevuto una diagnosi di emicrania. Inoltre, coloro che avevano ricevuto una diagnosi corretta (26,8%), prima di ricorrere al Centro, avevano cercato di risolvere il problema rivolgendosi al medico di famiglia (60%), al neurologo (38%) e al Pronto Soccorso per trattare una crisi emicranica insopportabile (23%).  Risulta evidente da questa fotografia che la sottodiagnosi e il trattamento non ottimale dell’emicrania in Italia afferma Pietro Cortelli, Professore Associato Dipartimento di Scienze Neurologiche dell’Università di Bologna, che ha condotto lo studio sono ancora una realtà da combattere per migliorare la qualità di vita dei pazienti emicranici e ridurre i costi diretti e indiretti legati alla patologia.  Lo stesso accade in molti altri Paesi del mondo, ma qui il dato assume maggiore rilevanza in considerazione del fatto che il Servizio Sanitario Nazionale garantisce a tutti gratuitamente l’assistenza del medico di famiglia e, se prescritti, farmaci specifici per il trattamento degli attacchi come i triptani, che hanno scientificamente dimostrato di influire positivamente sul miglioramento della qualità della vita e sui costi sociali della malattia”.  Nonostante le evidenze scientifiche favorevoli ad un utilizzo adeguato dei triptani, dallo studio emerge che sebbene il 95% dei pazienti dichiari di assumere farmaci per l’emicrania, solo il 17,2% dei pazienti che si presentano ad un Centro Cefalee sono trattati con triptani, mentre più dell’80% usa regolarmente farmaci aspecifici e prodotti da banco. Inoltre solo il 4,8% di loro utilizza terapie preventive. Uno dei principali compiti del medico – sottolinea Domenico D’Amico, Dirigente Medico U.O. Neurologia III Cefalee dell’Istituto Besta di Milano –  nel trattamento dell’emicrania è migliorare la qualità di chi ne soffre. I risultati di questo studio evidenziano con chiarezza che esiste una diretta correlazione tra uso di farmaci specifici, recupero della funzionalità e soddisfazione del paziente, infatti l’85% dei pazienti che risultava insoddisfatto del trattamento (60%), assumeva farmaci aspecifici. Questi 3 elementi rappresentano una importantissima barriera protettiva rispetto alla trasformazione dell’emicrania in dolore quotidiano e quasi quotidiano e al circolo vizioso insoddisfazione-abuso-assuefazione-ulteriore cronicizzazione”.  Una diagnosi tempestiva e un utilizzo corretto di farmaci specifici sono la strada da percorrere per migliorare la qualità di vita delle persone che soffrono di emicrania: a conferma anche i dati dello studio relativi agli effetti collaterali riportati dai pazienti. Nell’ambito di coloro che riferivano effetti collaterali (8,8%) più del 50% riportava disturbi gastrointestinali legati, in oltre il 90% dei casi, all’assunzione di Fans o analgesici per il trattamento della fase acuta dell’emicrania. I dati italiani confermano quanto noto da studi internazionali – commenta Domenico D’Amicofarmaci non specifici, spesso ancora percepiti come leggeri o innocui,  sono gravati da percentuali relativamente alte di effetti collaterali, mentre percentuali nettamente più basse sono riferite da chi usa i triptani”.  Come risulta dallo studio, anche in caso di mal di testa ricorrenti il Medico di Medicina Generale è la prima figura medica di riferimento per la persona che soffre. Per contribuire a diagnosticare e trattare meglio il paziente emicranico– afferma Salvatore Bauleo, Medico di Medicina Generale presso l’Asl di Bolognail MMG,  potrebbe mettere in atto la cosiddetta medicina di iniziativa, coinvolgendo il paziente che richieda frequentemente certificati di malattia o prescrizioni di analgesici in un processo assistenziale più adatto a curare la sua cefalea. Tale processo dovrà iniziare con una visita dedicata al problema cefalea nell’ambulatorio del Medico di Famiglia e proseguire, se necessario, con successive consulenze specialistiche e accertamenti clinici. Inoltre uno strumento di screening per la diagnosi di cefalea idoneo ad essere utilizzato nell’ambulatorio del MMG, l’attuazione di percorsi-diagnostico terapeutici,  il conseguente coordinamento con gli specialisti e, non da ultimo, qualche minuto in più da dedicare all’ascolto del paziente, sono mezzi fondamentali per migliorare l’assistenza ai pazienti emicranici”  

Per rispondere più efficacemente ai 6 milioni di italiani che soffrono di una malattia che l’OMS ha inserito fra le prime cause di disabilità, la strada è quindi una sola ed è di tipo culturale: “occorre trasferire meglio nella pratica clinica, soprattutto a livello di medicina generale – conclude Pietro Cortelli – le evidenze che la ricerca epidemiologia e clinica ha messo a disposizione negli ultimi 20 anni, il che vuol dire diagnosticare meglio l’emicrania, prescrivere farmaci specifici, i triptani,  che hanno dimostrato di essere efficaci nel combattere la fase acuta degli attacchi e contrastare la dannosissima abitudine al fai da te. Questo avrà effetti positivi anche sui costi diretti (farmaci, esami, visite mediche, ricoveri) e indiretti (perdita di efficienza lavorativa  e giornate di lavoro) associati alla patologia”.

Alessandra Campolin
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