“Leonardeschi. Da Foppa a Giampietrino: dipinti dall’Ermitage di San Pietroburgo e dai Musei Civici di Pavia”

“…la cultura è tutta continuità, è tutta un’eco” ha scritto il poeta del Novecento Iossif Brodskij. L’attività dei seguaci di Leonardo – la cui rivoluzione in pittura non poteva non influenzare stuoli di divenuta un’eco originale, un’eco intensa che la straordinaria mostra in programma al Castello di Pavia 20 marzo al 10 luglio 2011 ci aiuterà a cogliere.

Per la prima volta il Museo Statale Ermitage presta un nucleo importantissimo di dipinti lombardi del Cinquecento: 22 opere della sua collezione, molte delle quali considerate fino a tutto l’Ottocento originali di Leonardo, che insieme ad altrettanti dipinti delle collezioni pavesi condurranno il visitatore a scoprire quanto il genio toscano in terra lombarda abbia determinato e reso possibile nuovi sviluppi artistici; una intensa stagione ove seguaci e imitatori del Maestro acquisivano, interpretavano e diffondevano il “nuovo” leonardesco.

La mostra Leonardeschi. Da Foppa a Giampietrino: dipinti dall’Ermitage di San Pietroburgo e dai Musei Civici di Pavia proporrà dunque testimonianze di prim’ordine della pittura lombarda del periodo di massima fioritura del Rinascimento, come la Sacra famiglia e Santa Caterina di Cesare da Sesto che Stendahl considerava la cosa migliore creata da Leonardo o la famosa Flora di Francesco Melzi, l’allievo prediletto del Maestro: opera che per trent’anni non è uscita dalle sale dell’Ermitage e che il prestigioso museo russo ha voluto prestare per questo importante evento, curato da Tatiana Kustodieva, conservatore dell’Ermitage, e da Susanna Zatti direttore dei Civici Musei di Pavia (Catalogo Skira). E numerosi saranno anche i quadri esposti per la prima volta fuori dalla Russia, in questa occasione. Tra questi, la Maria Maddalena penitente di Giampietrino, a suo modo un antesignano del manierismo lombardo, e l’importantissimo San Sebastiano di Luini, un ritratto, unico nel suo genere, di un governante di Milano (forse Francesco Maria Sforza) con le sembianze del patrono della città, a sottolineare le pene d’amore per una donna.

Promossa dal Comune di Pavia, Musei Civici di Pavia e Museo Statale Ermitage, dalla Fondazione Banca del Monte di Lombardia e dall’Associazione Pavia Città Internazionale dei Saperi, con la collaborazione della Fondazione Ermitage Italia e dell’Università di Pavia e il patrocinio della Provincia di Pavia, organizzata dai Musei Civici di Pavia e da Villaggio Globale International, la mostra è stata quindi inserita dai Governi dei due Stati tra gli eventi principali dell’Anno Italia/Russia, insieme ad un’altra esposizione organizzata e promossa da Pavia e dall’Ermitage – dedicata alla pittura italiana dell’Ottocento – che il prossimo autunno verrà inaugurata a San Pietroburgo.

Entrambi questi eventi sono infatti il frutto di una comune progettazione e di un più ampio e variegato programma di collaborazioni avviato, fin dal 2009, tra Pavia e l’Ermitage con la Fondazione Ermitage Italia, per la valorizzazione del patrimonio storico-artistico, la ricerca scientifica, il restauro, lo studio della museologia e del collezionismo.

Il progetto dedicato ai pittori lombardi attivi tra il XV e l’inizio del XVI secolo e dunque alla stagione artistica che precedette, accompagnò e seguì l’esperienza milanese di Leonardo – dal 1482 al 1499 e poi dal 1507 al 1512/13 – nasce dunque da due considerazioni. Da un parte vi è infatti la consapevolezza dell’importanza che Pavia ebbe nella maturazione degli studi e delle riflessioni del Maestro e nella penetrazione dei suo dettami artistici (gli studi per lo sviluppo a pianta centrale della Cattedrale, gli spunti i idraulica, le amicizie, l’incontro con il Salai, l’impressione della grande statua equestre del Regisole, le opere dei suoi seguaci per la Certosa, ecc.); dall’altra il desiderio di approfondire grazie alle importantissime collezioni russe eccezionalmente esposte in Italia, in dialogo con quelle pavesi, un aspetto quanto mai affascinante e intrigante della storia artistica lombarda e del nostro Rinascimento.

Il fenomeno dei Leonardeschi, guardato con sospetto dalla critica d’inizi Novecento – “creatori di cadaveri galvanizzati” li aveva definiti Roberto Loghi con colorita veemenza – è stato valutato con grande interesse e attenzione a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo. E’ evidente che le possibilità creative dei seguaci di Leonardo non si limitarono infatti ad una ripetizione stantia delle tipologie e degli schemi leonardeschi ma svilupparono in modo molto dinamico l’arte lombarda contribuendo al suo rinnovamento e nel contempo permisero il diffondersi di una nuova arte in tutta Italia.

E’ come se un fremito avesse scosso la terra, ma nel contempo fosse necessaria la presa di coscienza, l’assimilazione e la rielaborazione di quel che di sconvolgente era accaduto: e questo in Lombardia fu possibile grazie all’opera – con esiti di assoluto livello e spesso di grande poesia – di artisti come Melzi, Cesare da Sesto, Luini, Boltraffio ecc. “…straordinari artisti, – scrive Michail Piotrovskij, direttore dell’Ermitage, nella sua presentazione parlando dei Leonardeschi e della “scuola” di Rambrandt – che hanno fatto dei grandi maestri non soltanto un evento, ma un vero e proprio fenomeno.”

Ai tempi in cui comparve Leonardo alla corte di Ludovico il Moro, la Lombardia era abbastanza arretrata dal punto di vista culturale. A Milano si conservava lo stile gotico internazione molto amato dalla corti dei governanti, che continuavano a seguire nei propri castelli, per molti aspetti, uno stile di vita feudale. La scena era allora dominata da Vincenzo Foppa, il pittore sicuramente più importante al tempo, e dagli inizi “argentei” della pittura del suo seguace: Ambrogio Borgognone. La mostra ne dà conto con alcune opere importantissime prestate dall’Ermitage: i due pannelli con le figure di Santo Stefano e l’Arcangelo San Michele, parte del polittico realizzato da Foppa nel 1461 su committenza di Battista Spinola per la Chiesa di San Domenico a Genova, e il San Giacomo Maggiore del Borgognone (dipinto che non compariva nella mostra dedicata all’artista a Pavia nel 1996), dai riccioli lucenti e dalle splendide rifiniture della veste.

A questi si aggiungono a Pavia due capolavori conservati nelle collezioni dei Musei Civici che ribadiscono il ruolo di primo piano dei due pittori nel clima del rinascimento lombardo: il Cristo portacroce di Bergognone, caratterizzato da grande raffinatezza e delicati passaggi cromatici, strettamente legato al cantiere della Certosa (in cui il pittore è impegnato a partire dal 1488) e la Pala Bottigella di Foppa, realizzata tra il 1477-78 e il 1485 – 87 per la cappella Bottigella della chiesa pavese di San Tommaso. La pala è da poche settimane tornata visibile nella Pinacoteca dopo un lungo, importante restauro. Ma l’interesse per la luce di Foppa e Borgognone non ha nulla a che vedere con il modo in cui affronta il problema Leonardo, che propostosi a Ludovico il Moro soprattutto come ingegnere e idraulico, inizierà viceversa a imporsi a Milano proprio partendo dalla pittura.

E dopo un’opera programmatica come la “Vergine delle rocce”, il cartone con “Sant’Anna”, la “Dama con l’Ermellino” e “l’Ultima Cena”, non sarà più possibile non confrontarsi con lui e tornare alla vecchia arte. In realtà già la copia di un pittore anonimo, qui esposta, tratta liberamente della giovanile Madonna Benois, realizzata da Leonardo ancora in Toscana – uno dei due capolavori di mano del Maestro conservati all’Ermitage insieme alla “Madonna Litta” – ben testimonia la capacità di presa dell’arte di Leonardo e lo scontarsi delle tendenze nuove e vecchie nell’arte italiana di fine Quattrocento.

Leonardo presso la corte degli Sforza, anche per far fronte ai tanti impegni, si contorna di allievi, aiutanti, seguaci che in vario modo recepiranno la lezione leonardesca testimoniando la fortuna delle sue concezioni espressive e formali, in primis la tecnica dello sfumato, e la volontà di studiare e rappresentare i moti dell’anima.

Prima di tutti c’è Francesco Melzi: uno degli allievi preferiti dal Maestro, tanto che Francesco seguirà il l da Vinci in Francia ed erediterà i suoi disegni e manoscritti. La produzione certa di Melzi si basa su pochissime opere, ma l’attribuzione della bellissima Flora dell’Ermitage – che Tatiana Kustodieva colloca non prima del 1520 ca. – è condivisa dalla più recente critica. In realtà la tela che svolge il tema del grande mistero della natura, fondamento di tutto l’universo, era stata acquista all’asta dall’Ermitage, dopo la morte del re dei Paesi Bassi Guglielmo II, nel 1850, come opera di Leonardo, ed era stata pagata 40.000 franchi. Il nome di Giampietrino (Giovanni Pietro Rizzoli) viene menzionato in uno dei manoscritti di Leonardo del 1497 ma i suoi primi lavori risalgono al 1508.

Divenne presto dotato di un’individualità abbastanza brillante e di una riconoscibile maniera di esecuzione. Tra i lavori prestati dall’Ermitage vi sono il Cristo con il Simbolo della Trinità, originale dal quale deriva la copia di Brera, l’Apostolo Giovanni, a lui attributo per la prima volta nel 1995 dalla Kustodieva, grazie ai risultati delle indagini ad infrarossi che hanno rivelato un’altra composizione sottostante, la bellissima Madonna con il Bambino e – infine – la Maria Maddalena penitente, acquistata nel recente 1977 da un privato. Sarà quanto mai interessante confrontare la Madonna pietroburghese con la splendida pala d’altare eseguita nel 1521 per la Chiesa di San Marino a Pavia: confronto che secondo i curatori permetterebbe – per la grande unità della composizione e l’originalità dell’idea concepita per il dipinto delle collezioni russe – di datare l’opera dell’Ermitage ad un periodo più tardo.

Anche la Maria Maddalena penitente – tema determinante nella produzione di Giampietrino, che ne offre una interpretazione di grande dolcezza in diverse varianti – può essere messa in relazione diretta con l’esemplare dello stesso soggetto nelle collezioni pavesi, ove è stato riconosciuto il prototipo della Maddalena orante con le mani giunte.

Indiscutibile maestro guida nella Lombardia del Cinquecento è Bernardino Luini la cui autonomia e le innovazioni ottenute nel campo della forma e del ritmo non hanno bisogno d’essere dimostrate. Purtuttavia anche lui fu attratto dalla magia della pittura di Leonardo. Tra i suoi lavori più leonardeschi prestati dall’Ermitage vi è la Santa Caterina, intrisa di grande liricità, opera forse appartenuta nel XVII secolo – quale eccezionale Leonardo – al Duca di Modena e acquistata dalla Zar Alessandro I nel 1815 dalla collezione Boharnais. Bernardino Luini sarà rappresentato in mostra anche con due porzioni di affreschi provenienti dalla celebre Villa della Pelucca, appartenuta a Gerolamo Rabia e affrescata dal Luini intorno agli anni Venti del Cinquecento, ora di proprietà dei Musei Civici di Pavia, e da alcune repliche e prove di bottega – sempre pavesi – che attestano la fortuna delle sue soluzioni vicine agli esempi del maestro. La Sacra famiglia con Santa Caterina di Cesare da Sesto, una delle figure più significative della pittura lombarda del XVI secolo, è un gioiello dell’esposizione permanente della pittura italiana dell’Ermitage. Jacob Staëhlin nel compliare l’elenco dei quadri pervenuti all’Ermitage negli anni Sessanta del Settecento scriveva: “Leonardo da Vinci. Una delle cose più sublimi di questo maestro…. acquistata nel 1769 per 5.000 rubli” e, come abbiamo visto, anche Stendahl ne rimase affascinato.

Il tuffo nella grande arte lombarda, all’insegna del da Vinci, continua con il Sodoma (Giovanni Antonio Bazzi), che trova in Leonardo un’importante fonte di ricerca creativa, tanto che nel suo Cupido in paesaggio sembra cogliere l’esito degli studi condotti da Leonardo sui fanciulli nell’atto di giocare; e ancora con Giovanni Francesco Caroto – veronese, presente sulla scena milanese intorno ai primi decenni del Cinquecento – che oggi è considerato molto più “leonardesco” di quanto non apparisse in precedenza: la scoperta del mondo interiore introdotta da Leonardo è evidente nell’opera dell’Ermitage Madonna con i Santi Francesco e Caterina.

Altre opere del grande museo russo in mostra, riconducibili alla scuola leonardesca, sono ancora di difficile attribuzione, ma non meno interessanti. In particolare l’Angelo che, anche se in cattive condizioni, è l’unica replica della celeberrima opera di Leonardo descritta dal Vasari – mai pervenuta in età moderna – raffigurante effettivamente un angelo e non il Giovanni Battista ed è anche la versione più vicina alla descrizione del Vasari; o ancora il dipinto raffigurante una Donna nuda, acquistato alla fine del Settecento presso Robert Walpole – già ministro sotto i due re inglesi Giorgio I e Giorgio II – che potrebbe forse essere ascritto al tanto enigmatico Salai: fin dall’età di dieci anni a bottega dal Maestro e per il quale egli aveva un debole, perdonandogli ogni malefatta. Nel percorso, tra le opere pavesi, interessanti sono anche il Ritratto di dama in veste di santa, già attribuito al Boltraffio e comunque da ricondurre a un artista a lui vicino, pienamente inserito nel leonardismo milanese del primo decennio del Cinquecento, e il Ritratto del medico Cesare De Milio, al servizio del re d’Ungheria, contraddistinto dal taglio numismatico di profilo e dall’inusuale inserto della natura morta. Numerosi infine i dipinti in cui è possibile riscontrare la ripresa dello sfumato leonardesco nelle particolari atmosfere che caratterizzano i paesaggi: la Madonna col Bambino nel paesaggio di Giovanni Francesco Caroto, in cui confluiscono le nebbie violette di ascendenza giorgionesca, gli azzurri lontani di Leonardo, le boscaglie dossesche.

Informazioni e prenotazioni
www.museicivici.pavia.it
www.comune.pv.it
tel. +39 0382 33853 – 0382 304816
prenotazionimc@comune.pv.it

Inaugurazione 19 Marzo 2011

Castello Visconteo
Viale XI Febbraio, 35 Pavia
Orari Dal martedì al venerdì: 10-13; 15-18
Sabato, domenica e festivi: 10-19
Aperture straordinarie: 24 e 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno
Chiuso: lunedì
Biglietti Intero: € 8 Ridotto: € 6-3

 

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