L’apprendistato del giovanissimo Tiziano Vecellio è strettamente legato e inestricabilmente connesso alla tradizione veneziana.
Inviato dal padre a Venezia, ancora bambino, fu poi mandato dal suo primo maestro, Sebastiano Zuccato, accortosi del suo talento, nella grande bottega dei Bellini, come giovane apprendista al seguito di Gentile Bellini, artista di grandissimo spicco della Scuola di San Marco, dal quale apprese i fondamenti della pittura ad olio.
Inoltre Giovanni sperimentava una pittura nuova che era in grado attraverso sottili trasparenze di conferire alla composizione non solo mirabili effetti cromatici, ma anche profondità tonali.
Sempre secondo il Dialogo del Dolce, il giovane Tiziano però aveva incominciato a disegnare e dipingere anche con Giorgione da Castelfranco, il quale, a differenza dei Bellini, che avevano la più rinomata bottega artistica della città, che dava lavoro a numerosi artisti e apprendisti, lavorava da solo e si era specializzato in piccole tele di modeste dimensioni, destinate alle abitazioni private.
Sarà proprio accanto al Giorgione che Tiziano riceverà il suo primo incarico pubblico di grande importanza: affrescare le facciate del Fondaco dei Tedeschi, punto di riferimento della comunità dei mercanti tedeschi a Venezia, situato sul Canal Grande, accanto al ponte di Rialto.
E’ a questo punto, siamo attorno al 1507 forse agli inizi del 1508, che, secondo il Vasari, che ne parla nelle sue Vite (1568), Tiziano incominciò a lavorare anche a una grande tela: “ /…/ Dopo la quale opera [il Fondaco dei Tedeschi a Venezia] fece un quadro grande di figure simili al vivo, che oggi è nella sala di messer Andrea Loredano che sta da San Marcuola: nel quadro è dipinta la Nostra donna che va in Egitto, in mezzo a una gran boscaglia e certi paesi molto ben fatti, per avere dato a Tiziano molti mesi opera a fare simili cose, e tenuto per ciò in casa alcuni Tedeschi, eccellenti pittori di paesi e verzure. Similmente nel bosco di detto quadro fece molti animali, i quali ritrasse dal vivo, e sono realmente naturali e quasi vivi”.
Il telero era stato commissionato al giovane Tiziano da Andrea Loredan, un cugino del doge Leonardo, per il suo nuovo palazzo sul Canal Grande.
La composizione ci presenta una Fuga in Egitto ambientata in una radura ai margini di un bosco, un ambiente che forse prendeva spunto dal paesaggio, come poteva essere allora, nei pressi della marca trevigiana, vicino al corso del Piave.
Ma questo paesaggio, che denota anche una cura eccezionale nella descrizione dettagliata di flora e fauna, si popola anche di figure di giovani pastori a guardia delle greggi, soldati o cavalieri solitari abbigliati con i costumi dell’epoca.
Se l’attenzione alla resa atmosferica dell’ambiente naturale ha del grandioso se si considera la giovane età del suo esecutore, Tiziano non doveva avere ancora vent’anni e doveva essere sicuramente rimasto affascinato da opere come La Tempesta o Il Tramonto, realizzate dal suo maestro Giorgione, la resa meticolosa di flora e fauna fanno pensare anche a una loro rilettura simbolica di matrice medievale, ambientata però in un nuovo contesto di stampo prettamente umanistico.
Siamo nel pieno dell’atmosfera filosofica del quel colto umanesimo veneziano, al quale anche lo stesso Giorgione si riferiva per le sue committenze, che amava rileggere il mondo classico e gli stessi episodi narrati nei Vangeli, riferendoli alla stretta attualità, che vedeva Venezia minacciata dalla Lega di Cambrai, capitanata dall’imperatore Massimiliano e in procinto di invadere i suoi territori di confine nei pressi del Cadore.
Ma è un Tiziano che conosce anche gli affreschi alla cappella degli Scrivegni a Padova, dove La fuga in Egitto di Giotto però presenta una composizione ben più essenziale della sua che presenta la precisione e il dettaglio di un erbario, sulle orme di Leonardo da Vinci e di Albrecht Dürer.
Seguita da San Giuseppe a piedi, la Vergine culla il suo Bambino già addormentato.
Seduta di lato su un asino paziente, viene condotta, accompagnata dalla presenza amica degli animali del bosco, da un giovane pastore in un luogo sicuro, probabilmente sui monti, verso uno spiraglio di luce, lontano dal cielo nuvoloso della pianura, che già minaccia pioggia.
Vladek Cwalinski
Il Tiziano mai visto – La fuga in Egitto e la grande pittura veneta
Gallerie dell’Accademia
Campo della Carità
Dorsoduro 1050, Venezia
Fino al 9 dicembre 2012
Orari: lunedì, 8.15 – 14.00; da martedì a domenica, 8.15 – 19.15

