Nonostante il pluridecennale processo di vivisezione al quale è sottoposto, secondo scadenze dettate dall’opportunità museale di turno e dalla stagione espositiva, invernale o primaverile, l’impressionismo nei nostri spazi adibiti all’organizzazione di mostre, (per cui se vale l’adagio che ogni mostra è uno spettacolo, ribaltando il problema è sempre vero che se si prende l’aereo o il treno e si raggiunge il posto dove un fenomeno artistico è nato, in questo caso Parigi, lo spettacolo è incommensurabilmente superiore per non parlare dell’opportunità di comprensione), nonostante questo, la mostra organizzata nelle Scuderie del Castello Visconteo di Pavia, è più che apprezzabile.
Innanzitutto prova, come tentativo, per alcuni aspetti riuscito, a dare un’idea concisa dei tratti salienti dell’opera di Claude Monet (1840 – 1926), che, del gruppo che nel 1874 si trovò ad esporre nelle sale del fotografo Nadar, portò i principi di divisione dello spettro cromatico, studiati da Chevreul, Goethe e altri, che avevano animato l’impressionismo dagli esordi sino alle conseguenze estreme, mi riferisco al ciclo delle Ninfee d’As concepito in vecchiaia nel suo giardino di Giverny, giungendo alla soglia dell’astrazione, in perfetta concomitanza storica con ricerche intraprese da altri artisti, dal francese Serusier, al russo Kandinskij, allo svizzero Klee al nostro Giacono Balla, molto più giovani di lui.
Il fatto è che l’impressionismo, e Monet in oltre sessant’anni di lavoro in quest’ambito non assunse mai un ruolo comprimario, ma da protagonista assoluto, cambiò davvero, per la pratica en plain air e per l’uso dei colori in tubetto, per lo studio accanito delle leggi ottico cromatiche, associate alla più assoluta spontaneità nell’esecuzione immediata sur le motif, le leggi che governavano il mondo dell’arte e della pittura accademica dei Salon come una rivoluzione copernicana.
Occorre considerare innanzitutto che il termine impressionisme all’epoca era utilizzato con un’accezione denigratoria, (fu coniato da un giornalista di cronaca, Leroy, su un giornale a sfondo satirico, lo Charivary), per comprendere quale pioniere sia davvero stato un artista come Monet nella realizzazione delle sue opere, nello studio accanito degli effetti di luce sul pulviscolo atmosferico innanzitutto.
Sin dal suo dipinto Impression au soleil levant, realizzato nel 1872, ed esposto da Nadar due anni dopo, per lui, pur nella fatica dell’incomprensione dei più, era però chiara la direzione verso la quale voleva procedere.
In mostra vi sono opere, come Les Coteaux Prés de Vetheuil, Le village de Vetheuil, e La Seine, vue des hautheurs de Chantemesle, delizioso terzetto di piccole tele realizzate nel corso del 1881 e provenienti dal Musée d’Orsay, oppure La Cap Martin, o il suggestivo Effet de Neige à Limetz, che sin da subito fanno intuire qual’era la nuova sensibilità cromatica verso la natura della quale Monet si sentiva portatore.
Dipinti come Les Patineurs à Giverny sarebbe bello apprezzarli nella loro incontaminata freschezza accanto a quelle successive di pittori delle generazioni seguenti come Matisse, Derain o de Vlaminck per capire quale effettiva breccia abbiano aperto nella cosiddetta ‘pittura di paesaggio’.
Caposaldi della mostra, come potrebbe essere altrimenti, appaiono una delle numerose versioni de La cathédrale de Rouen, primo autentico progetto d’installazione pittorica a tema che la storia della pittura ricordi, realizzato tra il 1892 e il , consistente nell’esposizione di oltre quaranta versioni differenti della facciata della cattedrale gotica, ripresa dall’identico punto di vista a diversi orari del giorno e con differenti condizioni atmosferiche, insieme a uno splendido effetto di nebbia sul Tamigi nel Waterloo Bridge, del 1900, una versione della straordinaria serie di studi di luce e pulviscolo atmosferico riflessi sulla mobilità dell’acqua, ispirate dal soggiorno a Londra e in dialettica con la poetica del grande Joseph William Turner, uno dei suoi costanti punti di riferimento poetico.
Per la sua generazione Monet nel suo modo d’intendere la natura e di dipingerla può così paragonarsi all’aquila che osserva dall’alto il paesaggio, ritratta, e in mostra, in una delle sue incisioni di vedute di Edo, dal giapponese Hiroshige, uno degli artisti da lui più ammirati.
Vladek Cwalinski
Monet au cœur de la vie
Sino al 15 dicembre
Scuderie del Castello Visconteo, Pavia
Catalogo Silvana