BIENNALE MUSICA VENEZIA – 56. Festival Internazionale di Musica Contemporanea + EXTREME –

a Venezia dal 6 al 13 ottobre 2012

Pierre Boulez Leone d'oro alla carriera, Quartetto Prometeo Leone d'argento

Minimalismi e massimalismi
Dal 6 al 13 ottobre
Venezia sarà il palcoscenico della musica contemporanea con la 56ma edizione del Festival organizzato dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta. Saranno 8 giorni densi di appuntamenti, 3 al giorno, tra concerti, installazioni sonore, atelier, performance audiovisive e opere di teatro musicale che presenteranno al pubblico 51 novità, di cui 28 in prima esecuzione assoluta.
 
Si intitola +EXTREME- il 56. Festival Internazionale di Musica Contemporanea, ovvero minimalismi e massimalismi musicali del nostro tempo. “Ciò che colpisce particolarmente nel panorama musicale dei nostri giorni – dice il neo direttore Ivan Fedelesono gli orientamenti estremi: minimalismi e massimalismi [video] che vogliono abitare le regioni di frontiera del linguaggio musicale, approcci apparentemente antitetici che in comune hanno la radicalità dell’intento estetico-poetico, abbandonando di fatto l’atteggiamento politically correct del pezzo che funziona o suona bene”. Il 56. Festival presenta alcuni significativi attori di queste pratiche “dell’eccesso”, contestualizzati e messi a confronto con i “classici” del radicalismo: dai grovigli contrappuntistici di Brian Ferneyhough, per esempio, alla saturazione [video] operata dai quarantenni Franck Bedrossian e Raphaël Cendo, dalla smaterializzazione del suono di Salvatore Sciarrino e gli aneliti mistici di Sofija Gubajdulina alla musica costruita sull’unità minima di un solo bit del trentenne Tristan Perich, passando per la fissità ipnotica di Kirill Shirikov o l’urgenza espressiva di Nikolai Popov e Alexander Khubeev, poco più che ventenni compositori russi di intrigante spregiudicatezza.
 
 
Vecchi e giovani leoni
Il 56. Festival Internazionale di Musica Contemporanea si inaugura sabato 6 ottobre con i protagonisti dei Leoni della Biennale di Venezia: Pierre Boulez [video] che, come già annunciato, riceverà il Leone d’oro alla carriera, e il Quartetto Prometeo, giovane ma già affermata formazione cameristica italiana, a cui verrà assegnato il Leone d’argento, premio che la Biennale destina alle nuove realtà musicali.
 
Con un repertorio che spazia da Bach a Sciarrino e una qualità interpretativa riconoscibile, eletto complesso residente presso la Britten Pears Academy di Aldeburgh nel 1998 e invitato nelle migliori stagioni concertistiche italiane e internazionali, il Quartetto Prometeo sarà alla Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian (ore 18.00) con un concerto che porta nel vivo di Extreme. Dagli immoti paesaggi sonori di Phil Niblock, classe 1933, fra i pionieri del minimalismo americano, si passa attraverso il minimalismo melodico della tedesca Carola Bauckholt, per arrivare alle sonorità distorte dei francesi Franck Bedrossian e Raphaël Cendo, esponenti di una vero e proprio movimento estetico, quello del “saturazionismo”, una deriva “acida” dello spettralismo francese.
 
Il concerto al Teatro alle Tese (ore 20.00) offrirà invece un binomio inscindibile: Pierre Boulez e l’Ensemble Intercontemporain. Compositore, direttore d’orchestra, teorico, promotore appassionato della musica del XX secolo, di Pierre Boulez si eseguiranno Sur incises, uno fra i pezzi più spettacolari della sua recente produzione che, secondo un modulo caro al compositore, sviluppa ed espande la matrice originaria, Incises, un frammento per pianoforte solo. I due brani sono intercalati dall’altrettanto travolgente Sonata per due pianoforti e percussioni di Béla Bartók.
 
 

 

Cyber suoni

Fa pensare a un universo astrale, composto da cyber suoni quell’ampia fetta della musica elettronica che trova impulso e sviluppo dall’inarrestabile innovazione tecnologica, che produce e inventa suoni in in una dimensione acusmatica, cioè in totale assenza di strumenti acustici. All’incontro tra musica e informatica il 56. Festival dedica un episodio importante intitolato a IanniX, una piattaforma multimediale che elabora dati visivi e sonori rendendo più immediato il rapporto tra segno grafico ed evento musicale [video]. Come una lavagna su cui disegnare con un led varie tipologie di disegni geometrici – rette, curve, poligoni, solidi – che si traducono in suono. Il nome è in omaggio all’immaginifico compositore franco-greco Iannis Xenakis, che nel ’75 per primo ideò un sistema di “suoni grafici”, Upic, di cui Iannix è l’evoluzione più avanzata grazie agli studi, sostenuti dal Ministero della cultura francese, di Thierry Coduys e del suo laboratorio parigino La Kitchen. IanniX oggi è  in grado di dialogare non soltanto sul fronte musicale, ma con un gran numero di linguaggi – da OSC (l’iPad “parla” OSC) a MIDI – assecondando la moderna rete tecnologica.
 
A questo metodo di composizione visiva, che sfrutta la creatività della grafica per individuare strutture musicali, il Festival dedica un atelier, condotto dallo stesso Coduys per 8 compositori selezionati, suddiviso in tre fasi: una propedeutica di studio del linguaggio Iannix (3 > 5 maggio), una di progettazione musicale (7 > 9 giugno) e una di realizzazione (5 > 11 ottobre). Questa fase produttiva vedrà il suo esito finale l’11 ottobre al Teatro alle Tese con sei prime assolute di Ivàn Solano, Marcello Liverani, Cesare Saldicco, Julian Scordato, Stefanio Alessandretti e Giovanni Sparano, Davide Gagliardi e Victor Nebbiolo Di Castri. Sarà un concerto-performance, perché con questa pratica il compositore è anche l’esecutore che con il suo gesto manipola la partitura.

 

Un’altra immagine dallo spazio
In un’area omologa, animata sempre dall’idea di amplificare i suoni, estenderli, manipolarli, crearli ex novo, si svolgono altri tre appuntamenti del Festival. È il territorio della musica elettroacustica, che fa dialogare gli strumenti tradizionali con tutta la gamma di supporti elettronici via via offerti dallo sviluppo tecnologico – magnetofoni, radio, registratori, sensori e “protesi” tecnologiche fino ai moderni laptop. Così, fra echi ed energie “sottili”, va in scena il concerto al Conservatorio di Venezia il 9 ottobre (Sala Concerti, ore 15.00), ideato dalla flautista Federica Lotti, allieva di Roberto Fabbriciani e Severino Gazzelloni, qui coadiuvata dal mago del suono Alvise Vidolin, che ha realizzato le opere elettroniche dei maggiori compositori italiani, Nono, Berio, Sciarrino. Il concerto giustappone la musicalità pura del flauto solo di Classifying the thousand shortest sounds in the world di Claudio Ambrosini, presentato in prima esecuzione assoluta, ai riverberi tra strumento voce e live electronics degli altri brani. Sono le novità firmate da Luigi Sammarchi e Tao Yu, fra le più apprezzate compositrici cinesi della nuova generazione, e le sperimentazioni di Corrado Pasquotti e Agostino Di Scipio.

 

 

 

Sempre Agostino Di Scipio, questa volta al computer e al live electronics, è protagonista in duo con Ciro Longobardi, fra i nostri più versatili pianisti tra repertorio, improvvisazione, progetti multimediali, del concerto presentato nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian il 12 ottobre (ore 15.00). Il programma scorre dalla partitura “hi-tech” di Vittorio Montalti (Leone d’argento alla Biennale Musica 2010) costituita da 6 pezzi per pianoforte solo dedicati e ispirati a Martha Argerich, Keith Jarrett, Friedrich Gulda, Bruno Canino, Glenn Gould e Bill Evans, a quella “lo-tech”, deliberatamente povera fino all’annullamento, dei 3 pezzi muti  dello stesso Di Scipio, in cui “il gesto del pianista prende contatto con la superficie dello strumento ma senza davvero suonare, senza ‘affondare’ sui tasti” (A. Di Scipio). In mezzo, Klavierstuck IX di Stockhausen, con la sua struttura insistita eppure variabile di un accordo di 4 note, e Electronic Music for Piano di Cage, nella sua prima esecuzione integrale interamente live electronics, come originariamente era stata concepita dall’autore, che l’aveva scritta su un foglio di carta in un Hotel di Stoccolma, integrando ampie porzioni delle sue Music for Piano con note vaghe e criptiche.
 
E ancora da Cage prende spunto “Out of a landscape”, il concerto ospitato nella Sala Concerti del Conservatorio di Venezia l’8 ottobre (ore 15.00) e che sul ciclo Imaginary landscape costruisce il “contrappunto” delle nuove partiture di Luca Richelli, Michele Del Prete e Marco Gasperini. Due variazioni che partono da un punto per trasmigrare verso altri lidi, prendendo alla lettera le indicazioni che Cage diede per la celebre serie, e che potrebbero essere prese a epitome di questa sezione di concerti offerta dal Festival: “Non si tratta di un paesaggio fisico, è un paesaggio del futuro. Come se si usasse la tecnologia per decollare e, come Alice, passare attraverso lo specchio”.
 
 
Il suono ecologico
Dal cyber-suono al suono ecologico: è il Giardino Sonoro, dove lo spazio modella i suoni o dai suoni si fa modellare, ideato da un’equipe di specialisti – architetti, designer, ingegneri del suono, urbanisti, integratori tecnologici – guidati da Lorenzo Brusci e Simone Conforti [video], riuniti sotto il nome di Architettura Sonora e dal 2009 operanti nel dipartimento per la ricerca istituito da un’azienda leader nel mercato mondiale degli altoparlanti.
 
Insieme hanno sviluppato un progetto, denominato Automatic Soundscape Generation (ASG), di riqualificazione di tutti quegli ambienti che sono deturpati dall’inquinamento acustico. Tale tipologia d’intervento è basata sul concetto di soundscaping interattivo e adattativo: attraverso sensori che captano in tempo reale le frequenze dell’ambiente circostante è possibile fornire alla macchina informazioni che la mettano in grado di adattare paesaggi sonori artificiali alle caratteristiche soniche dell’ambiente stesso. Il progetto Automatic Soundscape Generation ridisegna l’esperienza del suono negli spazi umani, sia interni che esterni, con composizioni dedicate o suoni selezionati che vengono direzionati, diffusi, amplificati, deviati o ridotti. Gli altoparlanti, integrati al software e a un amplificatore, assumono le fogge più diverse seguendo suggestioni anatomiche e naturali – campane, sfere, gocce, chiocciole, delfini – in modo da poter essere appoggiati a terra o pendere dagli alberi, ma anche appesi a un soffitto o a una parete. Un anello di 10 metri di diametro, poi, è in grado di cambiare le altezze del suono e quindi di modularne l’intensità, captando l’avvicinamento o l’allontanamento dell’uomo. Saranno queste particolari sculture a trasformare in un fantastico paesaggio sonoro interattivo l’area del Giardino delle Vergini all’Arsenale per tutto il periodo del Festival.
 
 
Made in the USA
È il complesso italiano Alter Ego – spregiudicato artefice di affascinanti alchimie tra compositori (Glass, Kancheli, Hosokawa, Saariaho, Sciarrino), rapper (Frankie HI-NRG), cantanti (John De Leo), interpreti (Irvine Arditti, Accroche Note), artisti elettronici (Robin Rimbaud alias Scanner, Marco Passarani) e visivi (Michelangelo Pistoletto, D-Fuse) – ad accendere i riflettori sulla fitta presenza di autori americani al 56. Festival con un concerto “monografico” al Teatro Piccolo Arsenale l’8 ottobre (ore 20). [video]
 
Il concerto ruota attorno alla figura seminale di Alvin Lucier – fondatore con Robert Ashley, David Behrman e Gordon Mumma della leggendaria Sonic Arts Union negli anni ’60 – che al Festival interpreterà uno dei suoi pezzi più noti e paradigmatici, I’m sitting in a room, esempio di “minimal tape music”, cui seguono tutti brani che distillano una singola nota o una singola frequenza in una sorta di psicoacustica: Three translations for Maurizio Mochetti, Fidelio Trio e una nuova creazione in prima assoluta per violino, violoncello, flauto, clarinetto, pianoforte. Sulla stessa lunghezza d’onda, pur declinata in maniera diversa, è la musica di Tristan Perich, che compone musica con un unico bit, e quella di Mario Diaz De Leon, che Il New York Times definisce di “intensità allucinatoria”, mentre quella di Sean Friar si caratterizza per un “massimalismo” energico e immediato. Tutti tra i 27 e 32 anni, a unirli, oltre all’età, è la libertà con cui attraversano le diverse esperienze musicali: ognuno di loro, al di là dell’educazione accademica, vanta esperienze sul campo di free improvisation, noise, black metal, blues, rock, hard-core punk, scrive indistintamente per ensemble di diversa origine, classica e non, così come la loro musica viene eseguita nei Festival Bang On A Can, Gaudeamus Muziekweek, Ars Electronica, Sonar, e in spazi quali Lincoln Center, Carnagie Hall, Whitney Museum.
 
Un altro spaccato di musica americana viene proposto in duplice “cortocircuito” nel concerto al Teatro Piccolo Arsenale il 9 ottobre (ore 18.00). È “Old America / New Russia”, che non solo interseca le partiture degli americani Yotam Haber e Terry Riley, di cui si eseguirà l’intramontabile In C, con quelle dei poco più che ventenni Kirill Shirokov, Nikolai Popov e Alexander Khubeev formatisi nel Conservatorio di Mosca, ma farà incrociare anche gli strumenti dell’ensemble Alter Ego con quelli dell’Ex Novo, un'altra formazione italiana, campione di tanta musica contemporanea. Ad Andrew Quinn, poliedrico video-artista australiano è affidato il sofisticato progetto di interpretare e tradurre in immagini visive real-time le musiche del concerto [video]: un contrappunto di immagini “stimolato” dai parametri sonori delle composizioni.
 
Completa questo segmento dedicato alla musica americana una figura considerata centrale non solo per gli sviluppi del jazz, ma in generale della musica dei nostri giorni in termini di ricerca sul linguaggio e sulle tecnologie. Anthony Braxton sarà al Teatro alle Tese il 13 ottobre (ore 20.30) con la sua più recente formazione di 12 giovani musicisti (in organico: cornetta, flicorno, clarinetto, trombone, fagotto, tuba, flauto, viola, chitarra, contrabbasso, batteria, sassofoni), creata nel 2006 e per la prima volta in arrivo in Europa. Compositore – autore di un corpo imponente di lavori che spaziano dal jazz post free alla musica sinfonica e alle opere, polistrumentista, teorico, Anthony Braxton proviene da quella fucina di nuovi talenti che è stata l’Association for the Advancement of Creative Musicians fondata nel 1965 da Muhal Richard Abrams. Musicista evolutivo, Braxton oggi parla della sua musica come di una “musica olistica”, immaginando di poter costruire “una unità sonica che conterrà possibilità elettroniche interattive, muovendo verso lo spazio olografico, tridimensionale”.
 
 

 

 

 

Il “solismo creativo”
“Nel corso della vita i grandi interpreti diventano compositori dell’interpretazione” scriveva Mauricio Kagel. È soprattutto nella seconda metà del ‘900, quando la nuova musica pone problemi interpretativi ed esecutivi non indifferenti, che si fa strada una nuova figura di strumentista capace di entrare nel vivo della composizione, dando corpo alla “visione sonora” dell’autore. Questa figura di interprete-creatore, così centrale nella musica del nostro tempo, e che ha dato vita non solo a grandi solisti ma anche a grandi complessi cameristici, trova testimonianza in vari appuntamenti del Festival. Paradigmatica, in questo senso, è la storia di Irvine Arditti e dei Freeman Etudes, una raccolta di studi per violino che sono un esercizio di puro atletismo dell’archetto. Dichiarati ineseguibili, Cage ne sospese la composizione e la completò soltanto quando Irvine Arditti, nell’88, dimostrò di poterla eseguire ad una velocità superiore a quella indicata nella partitura. Per Cage era la dimostrazione della “praticabilità dell’impossibile” e per Arditti la consacrazione a campione di violino quando eseguì la serie integrale nel ’91. A Venezia, Arditti eseguirà il ciclo dei Freeman Etudes l’11 ottobre nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian (ore 15.00).
 
Da Arditti a Mario Caroli, eletto, per rimanere in tema, “un Paganini del flauto” [video]. Certamente un fenomeno per critici e compositori se, come raccontano le biografie, attualmente è l’unico flautista ad eseguire in concerti monografici le integrali flautistiche di compositori come Sciarrino, Ferneyhough e Jolivet. Seguendo l’andamento per contrasti che caratterizza il Festival, il trentacinquenne Mario Caroli impagina un concerto – per la sua esibizione del 7 ottobre nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian (ore 15.00) – che alle “lontananze” sciarriniane di L’orizzonte luminoso di Aton, L’orologio di Bergson, All’aure in una lontananza, contrappone le tensioni e i conflitti della musica di Ferneyhough, con un brano dal ciclo Carceri d’invenzione (modellate sulle architetture fantastiche progettate da Piranesi che danno il titolo al pezzo), Cassandra’s dream song e Sisyphus redux, quest’ultimo in prima esecuzione italiana.
 
Sempre il 7 ottobre, al Teatro alle Tese (ore 20.30), posto in “entrata” al concerto della Mitteleuropa Orchestra, l’assolo del trentenne Simone Beneventi, un fuoriclasse delle percussioni, già membro di Icarus Ensemble, Mdi Ensemble, Repertorio Zero, ma anche solista per le maggiori orchestre lirico sinfoniche, dalla Scala al Maggio Musicale. In scena, è il caso di dirlo, con un pezzo squisitamente teatrale come One4, dalla serie dei number pieces di Cage. Una teatralità esaltata dagli interventi video operati in tempo reale dall’artista australiano Andrew Quinn.
 
Ma ancora più spettacolare sarà il concerto del 9 ottobre, sempre alle Tese (ore 20.30), per cui Beneventi appronta una installazione di più di 50 percussioni sospese, soprattutto metalliche (thai, gong, campane a lastra, ring, vibrafono, chimes, cowbell, operagong, cinesi, ocean drum, rototom, spirit chimes…), che circonda l’interprete come una gabbia sonora e vibrante. Al cubo metallico di Beneventi si affiancherà per il concerto veneziano un’altra struttura, questa volta di tulle, sollecitata da filamenti e sensori da Thierry Coduys, il creatore del programma Iannix, che inventa così un “doppio” plastico, un cubo parallelo a quello degli strumenti.
 
Spicca, nel concerto, la ricostruzione di una partitura di Fausto Romitelli, l’unica che scrisse per percussione sola, Golfi d’ombra. Composta nel ’90, ma mai pubblicata, fu eseguita per la prima e ultima volta nel ‘93 in omaggio al suo maestro Hugues Dufourt, di cui ripropone quasi interamente il set di percussioni del pezzo per percussione sola di Dufourt, Plus Outre. Nella partitura di Romitelli mancavano le indicazioni dinamiche e di strumentazione. Grazie al ritrovamento di diverse fonti e ad autorevoli testimonianze, Beneventi ha potuto recuperare molti elementi mancanti e proporne una versione ricostruita e finalmente edita (Ricordi 2012) ed eseguita alla Biennale in prima assoluta. A distanza di vent’anni da Golfi d’ombra, inoltre, Andrea Agostini, Raffaele Grimaldi e Stefano Trevisi, tre giovani compositori italiani, hanno raccolto il testimone creando tre nuove opere per la stessa installazione percussiva.

 

 

 

Se le percussioni sono affrancate da un ruolo di marginalità proprio dalla musica contemporanea fin dal primo ‘900 (Ionisation di Varèse ne è il manifesto), anche la chitarra, tenuta tradizionalmente ai margini nell’area classica mentre conquistava centralità nei territori di ambito popolare, viene recuperata dalla musica colta come elemento di rottura con la tradizione. Ecco che il ventottenne Alberto Mesirca sa trarre con maestria tutta la complessità e la stratificazione sonora di questo strumento, restituendone un’immagine svincolata dagli abituali riferimenti idiomatici. In scena al Teatro alle Tese l’11 ottobre (ore 20.30), Alberto Mesirca, che al suo attivo ha concerti al Concertgebouw di Amsterdam, all’Auditorium di Valencia e alla Barocksaal di Vienna, aprirà il concerto con la prima italiana di Lassan szállj és hosszan énekelj, haldokló hattyúm, szép emlékezet! ("Fly slowly and sing for a long time my dying swan, my beautiful memory", da Sándor Petofi), scritto espressamente per chitarra sola da György Kurtág, fonte di tanti ripensamenti e infine dato alle stampe in questo stesso anno. Sempre per chitarra sola e in prima italiana verrà eseguito Priapo assiderato di Claudio Ambrosini, mentre trascritto dallo stesso interprete un altro pezzo di Kurtág, Splinter, dai Cinque Merrycate, e Addio a Trachis II di Sciarrino, trascritto da Maurizio Pisati.
 
A conferma del rapporto speciale che lega un autore al suo interprete, Andrew Zolinsky, che ha accompagnato come solista le maggiori orchestre di area anglosassone, dalla London Sinfonietta alla BBC, ha costituito un binomio inscindibile con Unsuk Chin, figura consolidata del panorama internazionale, riservandosi tutte le prime esecuzioni della letteratura pianistica fino a oggi composta dall’autrice coreana, da Londra a Parigi e ora anche a Venezia. Fiore all’occhiello del concerto, il 13 ottobre nella Sala delle Colonne (ore 15.00), sarà infatti la prima esecuzione italiana dell’intero ciclo di Six Etudes di Unsuk Chin. Il concerto prevede inoltre tre prime italiane di James Dillon e James Clarke la cui musica è spesso associata alla cosiddetta “neo complessità”, rispettivamente con The Book of Elements e Untitled3 e Island; inoltre i Klavierstucke V e VII, capitoli di forma variabile del famoso ciclo di Stockhausen e, infine, la Seconda sonata di Sciarrino.
 
Alla sua prima esibizione in Italia, Andrew Zolinsky sarà protagonista anche del concerto che concluderà il Festival il 13 ottobre alle 23.00 nella Sala delle Colonne: in programma For Bunita Marcus di Morton Feldman, uno dei più bei pezzi per pianoforte dell’ultimo periodo di Feldman, detto dei “Long Works”, quando il compositore americano comincia a scrivere pezzi dilatati nel tempo – questo dura circa 75 minuti – ma riducendo ai minimi termini la densità del materiale: infinitesimali e scarsissime cellule germinali disseminate su lunghi periodi temporali. Una rarefazione incantatoria che, come è stato scritto, penetra la realtà sensuale dei suoni ed è il segno distintivo di questo inimitabile autore (Bob Gilmore).
 
 
Un contrabbasso per otto
In pochissimo tempo, dopo il debutto all’Auditorio Nacional di Madrid nel marzo 2010, Ludus Gravis, “la prima e unica formazione di contrabbassi al mondo” (Helmut Failoni), fondata da Stefano Scodanibbio e Daniele Roccato [video], ha avuto un’eco enorme. D’altronde il nome di Stefano Scodanibbio è legato alla rinascita del contrabbasso negli anni ’80 e ’90, quando questo strumento, con la sua ricchezza di armonici che lo fa suonare come un’intera orchestra, era isolato rispetto alla centralità degli altri strumenti ad arco. Racconta Terry Riley, di cui Scodanibbio realizzò una strepitosa versione di In C per ensemble di contrabbassi: “Da lontano riuscivo a sentire i suoni di corni francesi, tromboni, archi e ottoni tutti fusi insieme in un bellissimo ensemble modale. (…) Rimasi stupito, entrando nella galleria, di trovare Stefano da solo che suonava il suo contrabbasso”. La biografia di questo eccelso strumentista e compositore non fa che confermare la testimonianza di Riley: a Roma, nel 1987, Scodanibbio, destinatario di tante partiture scritte per lui da Bussotti, Donatoni, Estrada, Ferneyhough, Frith, Globokar, Sciarrino, Xenakis, ha tenuto una maratona di 4 ore non-stop suonando 28 brani per contrabbasso solo di 25 autori. Scodanibbio è stato a lungo collaboratore di Giacinto Scelsi e di Luigi Nono, che gli ha dedicato arco mobile à la Stefano Scodanibbio nella partitura del Prometeo, ma ha collaborato anche con artisti come il coreografo Virgilio Sieni, il regista Rodrigo García, il poeta Edoardo Sanguineti.
 
Il concerto di Ludus Gravis, al Teatro Piccolo Arsenale il 13 ottobre (ore 18.00), è anche un omaggio a Stefano Scodanibbio, prematuramente scomparso lo scorso gennaio, con tre brani della sua ampia produzione: Ottetto, in prima esecuzione assoluta, l’assolo Due pezzi brillanti e Alisei. Accanto, Bajo el vulcano di Julio Estrada, compositore messicano di origine spagnola, compagno di strada delle più recenti avventure musicali di Scodanibbio, che proprio il Messico aveva eletto a dimora dei suoi ultimi mesi.
 
 
A Tribute to
L’esercizio della memoria non è facile retorica, ma un modo per riannodare i fili con la storia recente, troppo poco frequentata dai programmi concertistici, e creare un gioco di rimandi con gli autori di altre generazioni, moltiplicando i significati e dando nuovo senso alle opere in programma.
 
Dopo Pierre Boulez, Leone d’oro alla carriera, dedicatario del concerto inaugurale, il Festival rende omaggio agli 80 anni di un compositore e intellettuale della musica come Giacomo Manzoni, anch’egli Leone d’oro alla carriera nel 2007. A Manzoni è dedicato il concerto del 12 ottobre al Teatro Piccolo Arsenale (ore 18.00) con l’ensemble Risognanze di Tito Ceccherini, acuto interprete di musica del nostro tempo, ma anche di tanti titoli operistici e di musica antica che lo hanno portato su palcoscenici prestigiosi. Ceccherini impagina il concerto affiancando alle opere del Maestro, con la prima esecuzione assoluta di Per questo, Alla Terra, Opus 75, Liriche di Élouard e Frase 2b, due novità assolute di Giovanni Verrando e Alessandro Melchiorre, entrambi intenti a sviluppare la ricerca e l’integrazione tra musica ed elettronica.
 
Nel centenario della nascita, il nome di John Cage ricorre lungo il Festival con i tanti brani in programma: eseguiti da Simone Beneventi, la Mitteleuropa Orchestra, Irvine Arditti, Ciro Longobardi, oltre ad ispirare l’intero concerto “Out of a Landscape”.
 
Alla figura di Luciano Chailly, che ha attraversato 50 anni della nostra storia culturale dando un contributo determinante, compositore, direttore d’orchestra, alla testa delle maggiori istituzioni musicali (dal Teatro alla Scala all’Arena di Verona, dal Carlo Felice di Genova all’Orchestra Rai di Torino), pedagogo appassionato, è dedicato un concerto, a dieci anni dalla sua scomparsa, il 10 ottobre nella Sala Concerti del Conservatorio di Venezia (ore 15.00). Protagonisti saranno i giovani musicisti del Conservatorio “G. Verdi” di Milano e dello stesso Conservatorio “B. Marcello” di Venezia.
 
In tema di ricorrenze, può essere utile ricordare che In C, considerato il manifesto del minimalismo americano, compie 50 anni, e il Festival ne celebra l’anniversario con una esecuzione in tandem dell’ Ex Novo Ensemble e Alter Ego.
 
 
La voce e il teatro musicale
Voce, teatro e musica è un terreno di ricerca dalle infinite possibilità e dalla forte carica immaginativa e comunicativa: la molteplicità di elementi in gioco, gesto parola drammaturgia suono immagine, può dar vita ad un concerto scenico, un melologo, una micro-opera, teatro strumentale, performance, art song, sprechoper. Su questo versante la Biennale si è annualmente impegnata con Musik der Jahrhunderte di Stoccarda per produrre nuove opere sperimentali da camera. Quest’anno, saranno due trentenni, Francesca Verunelli, già vincitrice del Leone d’argento alla Biennale Musica 2009, e Giovanni Bertelli a cimentarsi, in separata sede, in quella che è la loro prima opera di teatro musicale il 10 ottobre al Teatro alle Tese (ore 20.30). Serial Sevens di Francesca Verunelli si ispira ai grovigli oscuri della memoria, riferendosi, nel titolo, ad un vero test clinico per valutare il grado di memoria e di concentrazione, ma anche alle 7 voci degli interpreti e ai testi, tutti anonimi, tratti da autentiche conversazioni tra dottori e pazienti, che aprono spazi a un mondo non detto; AMGD, ovvero “aesthetica more geometrico demonstrata”, ma anche anagramma con cui i musicisti di qualche secolo fa siglavano i loro lavori e che significava “ad maiorem dei gloriam”, è costruito con una stessa catena di azioni – ispirata a un processo statistico noto come “catena di Markov” – ripetuta cinque volte, ogni volta subendo variazioni diverse. Sarà interessante anche la lettura registica, che per entrambi è opera della finlandese Kristiina Helin, a lungo alla scuola di Jerzy Grotowski e di Eugenio Barba.
 
Allo strumento vocale, alla sua evoluzione e ai suoi sviluppi è poi dedicato un concerto l’11 ottobre al Teatro Piccolo Arsenale (ore 18.00) con l’insostituibile complesso dei Neue Vocalsolisten Stuttgart, dal 1984 alfiere prestigioso della nuova musica. Oltre all’impegno nelle opere di Francesca Verunelli e Giovanni Bertelli, i cantanti dell’ensemble di Stoccarda impaginano un concerto in cui si nota la presenza di Elliott Sharp, un eretico della scena sperimentale newyorchese, con il suo ultimo pezzo, Turing Test per 6 voci e clarinetto in prima italiana. Accanto novità assolute di Bernhard Gander, autore di Deathtongue, Johannes Schöllhorn con C – Vier Etüden, Yannis Kryakides e Oscar Bianchi.
 
 
Dalle avanguardie ai giorni nostri: un cammino verso il molteplice
Nato nel 1991 a Bruxelles, il Quartetto Danel, famoso per le sue interpretazioni di Shostakovich, di cui ha inciso l’integrale quartettistica, sarà al Festival il 7 ottobre nella Sala delle Colonne (ore 18.00) mettendo in campo una formazione di grandi autori: Yannis Xenakis, Pascal Dusapin, Karen Tanaka, Anton Webern. E’ un trascolorare di contrasti che si impone all’ascoltatore: dal dinamismo potente di Ergma di Xenakis, che sconvolge la tradizione ariosa della scrittura quartettistica, e dalle sonorità aspre della giapponese Tanaka, con Metal Strings in prima italiana, ai fulminanti Cinque movimenti per quartetto d'archi op. 5 e le Sei Bagatelle di Webern, “un romanzo in un sospiro” (la definizione è di Schoenberg), dove i tanti gesti musicali si concentrano in uno spazio temporale ridotto; dal Quartetto n. 4 di Dusapin, allievo dello stesso Xenakis oltre che di Messiaen, ma con un modo proprio di sentire ed elaborare la musica che ha fatto di lui un “artigiano dei suoni”, attento al loro esito percettivo, a Tetras, con i suoi diagrammi tradotti in suoni, paradigma della visualizzazione sonora perseguita da Xenakis.
 
Ancora un quartetto, questa volta una recente formazione cameristica italiana, nata dalla scuola musicale di Fiesole, il Quartetto Klimt, sarà in scena l’8 ottobre alla Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian (ore 18.00) con Piano, violin, viola, cello di Morton Feldman, mai eseguito in Italia. Ultimo testo di Feldman, che secondo un modulo caro al compositore negli ultimi anni, lascia fluttuare i suoni in un tempo oceanico (questo brano dura un’ora e 15 minuti circa). Musicista dell’espressionismo astratto (che trasferisce anche nella qualità visiva delle sue partiture), collaboratore di Philip Guston, amico di artisti come Jackson Pollock e Mark Rothko, Feldman è considerato autore di una musica “immobile”, frutto di impercettibili modificazioni di frammenti melodici o armonici ripetuti, che lo hanno fatto spesso considerare precursore del minimalismo.
 
Fra le orchestre presenti al Festival, la FVG Mitteleuropa Orchestra, presente nelle edizioni degli ultimi anni, è in programma il 7 ottobre al Teatro alle Tese (ore 20.30), subito dopo la performance di One4 con Simone Beneventi alle percussioni. Fiore all’occhiello del concerto sarà la prima esecuzione italiana di Fachwerk di Sofija Gubajdulina, una delle massime compositrici emerse dall’ex Unione Sovietica, con il suo stile frammentato e interpuntato da sonorità etniche, come quelle del bayan, di origini russe, considerato una versione avanzata della fisarmonica classica. Concerto per pianoforte e orchestra di Cage, altro brano in programma, è un pezzo da manuale dell’indeterminatezza cageana: oltre alla tecnica compositiva basata sull'uso dell'I-Ching, l’esecuzione prevede di concordare con il direttore (che alla prima fu un coreografo, Merce Cunningham) il tempo musicale e una durata complessiva che comprenda l’azione di ogni musicista, destinatari di 13 parti indipendenti più una per il pianista. "Durante l'esecuzione il pianista può suonare ad una velocità qualsiasi, un qualsiasi numero di fogli, secondo un ordine altrettanto indeterminato, totalmente o parzialmente a piacere"(H.-K. Metzger). Completano il concerto Initial di Bettina Skrzypcak, assurta a stella della musica polacca e a improvvisa fama europea quando Arturo Tamayo, nel 1987, dirige il suo Verba alla Biennale musica di Zagabria, e AOïR novità assoluta del compositore franco-argentino José Luis Campana, commissionato dallo Stato francese.
 
Un altro campione di tanta musica contemporanea, che nel corso di oltre trent’anni ha sviluppato una qualità del suono caratteristica, è l’Ex Novo Ensemble, impegnato al Festival in un doppio concerto: il primo nasce dall’esperimento di suonare con un’altra formazione, l’Alter Ego, nel già citato “New Russia/Old America”, il secondo al Teatro Piccolo Arsenale il 10 ottobre (ore 18.00) schiera accanto a un autore consolidato, Jean-Luc Hervé, cresciuto alla scuola di Emmanuel Nunes e Gérard Grisey, con la prima esecuzione italiana di Replique, alcuni fra i più bei nomi della nuova generazione di trentenni: l’italiano Marco Momi, autore di Iconica IV, parte di un ciclo di sei miniature per ensemble ed elettronica, il danese Rune Glerup, con Dust incapsulated 2, esempio dei suoi musical objects, e il francese Christophe Bertrand, con la sua musica incandescente, di cui viene presentato in prima assoluta Dall’inferno, “una sorta di corsa contro l’orologio, in cui tutto è velocità e trasformazioni” (come scrisse Giorgio Manganelli nell’omonimo libro). Compositore diretto dallo stesso Boulez, che gli aveva anche commissionato un brano orchestrale per il Festival di Lucerna nel 2005, Christophe Bertrand sembra aver bruciato i tempi nel breve arco della sua vita (è scomparso a 29 anni) lasciandoci “un’opera profondamente sincera, sconvolgente per espressività, che segna profondamente l’ascoltatore” (Olivier Class). Il suo nome ritorna, insieme a quello di Rune Glerup, nel concerto dell’Orchestra Sinfonica della Radio di Stoccarda il 12 ottobre al Teatro alle Tese (ore 20.00) con la sua ultima composizione, Okhtor. Presentato per la prima volta in Italia, Okhtor, che rovescia il cognome del pittore Mark Rothko, “fa appello a un virtuosismo esacerbato allo scopo di creare una tensione massima per tutta l’opera, senza lasciare il minimo respiro, né agli interpreti, né al pubblico” (Olivier Class). Diretto da Michel Tabachnik, che nella sua importante carriera ha collaborato con Berio, Stockhausen, Ligeti, Meassiaen ed era interprete favorito di Xenakis, il concerto offre un classico come La mer di Claude Debussy, la prima italiana di Le cri de Mohim, Premier tableau de la Legende de Haïsh, dello stesso Tabachnick e Concerto di Rune Glerup, un altro esempio di come il giovane muscista danese scardina dall’interno il concerto classico nella sua forma più tradizionale, con esiti stupefacenti per un giovane di poco più di vent’anni. Infine, Enzo Porta e Silvia Tarozzi, in tandem violinistico il 7 ottobre alla Fondazione Cini (Sala degli arazzi, ore 11.00), saranno interpreti di Dialodia e Pièce pour Ivry di Bruno Maderna, "Hay que caminar" soñando di Luigi Nono, insieme alle novità di Fabrizio Fanticini e Pasquale Criton, che per Silvia Tarozzi scrive Circle Process, un’opera di ricerca sonora e gestuale su un violino accordato microtonalmente in sedicesimi di tono. www.labiennale.org
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