Alle radici dell’espressione di Vladek Cwalinski

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il ritorno alla pittura nella Germania appena divisa (l’infausta inaugurazione del Muro a Berlino infatti avvenne il mattino del 13 agosto 1961) sia da parte degli artisti che vivevano nella DDR che per quelli nella RDT, nel primo scorcio degli anni Sessanta, per poi proseguire come un “onda lunga” per tutta la durata dei Settanta, sino alla Neue Malerei, più o meno Wilden, del principio degli Ottanta, non fu affatto aliena da traumi. 

La pittura (prima ancora di porsi l’idea di coagularla in forma umana, quindi in figurazione, come d’altronde poi subito avvenne) allora era vissuta, dalla generazione di artisti nati durante l’ultimo conflitto, ma cresciuti nel dopoguerra, da Georg Baselitz (Deutschbaselitz, 1938) a Markus Lüpertz (Liberec, 1941), da Anselm Kiefer (1945) a Karl Horst Hödicke (Norimberga, 1938), come una tremenda questione esistenziale estremamente pericolosa, perché con tale pratica ci si doveva per forza confrontare con la memoria storica di quanto avvenuto col nazionalsocialismo e quindi con la tradizione nazionale artistica, e non solo, più recente, irrimediabilmente segnata e pervasa da un atroce senso di colpa.

Il solo recupero dei fondamenti pittorici, della tela e dell’impasto cromatico come mezzo privilegiato per narrare esperienze personali, espressive, allora era visto, all’Est, dominato dal realismo socialista, come all’Ovest, in balia dell’arte concettuale, con assoluto sospetto, quasi fosse una pratica già di per sé reazionaria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Emblematica in questo drammatico contesto è l‘esperienza di Ralf Winkler (Dresda, 1939) che presto sceglierà come nome d’arte quello del geologo Albrecht Penck.

Cresciuto nella DDR verrà presto bollato come elemento contestatore, sovversivo, in quanto non classificabile e quindi indesiderato a iscriversi all’Accademia di Dresda.

Spirito eclettico che non si esprime in un’unica disciplina ma ad ampio raggio, Penck studia filosofia, scienza, musica e storia delle religioni, dalla quale forse trae quella tipica figura geroglifica di uomo orante con le braccia alzate che caratterizza la sua opera pittorica sin dagli anni Settanta, sino ad elaborare una propria visione archetipa, neoprimitiva, composta da segni elementari e da forti contrasti cromatici.

Il suo linguaggio simbolico, come una specie di alfabeto visuale, preannuncia il graffitismo che prenderà corpo negli USA nel corso degli anni Ottanta, anche se le motivazioni che spinsero la sua ricerca in tale direzione sono differenti e da intendersi come una scoperta personale delle potenzialità insite nei segni primordiali per ritornare all’origine preistorica dell’espressione, così finalmente libera da ogni forma di condizionamento culturale.

In questo senso anche la sua pratica scultorea, incentrata sulla forza comunicativa intrinseca alla forma sintetica primitiva, totemica, così come la scelta di utilizzare materiali legati a una tradizione millenaria come il legno, il marmo e il bronzo, è da considerarsi strettamente connessa alla poetica primitiva delle sue opere pittoriche e grafiche come si trattasse di un corpus unico.

 

Vladek Cwalinski

 

 

Cardi Black Box

Corso di Porta Nuova 38, Milano

Fino al 30 novembre 2012

A. R. Penck

www.cardiblackbox.com

(Visited 122 times, 1 visits today)