Oggi è stata data anticipazione della nuova ricerca INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca sugli Alimenti e
Grazie a Fausta Natella, Guido Leoni, Angela Viglianti e Cristina Scaccini, ricercatori INRAN, si è dato corpo all’ipotesi che i fenoli presenti nel caffè abbiano un meccanismo d’azione simile ad alcuni farmaci antidiabetogeni: inibiscono gli enzimi coinvolti nella digestione dei carboidrati.
“Seppur numerosi studi epidemiologici evidenzino quanto un moderato e prolungato consumo di caffè (normale o decaffeinato) sia associato alla riduzione del rischio di Diabete di tipo 2 – racconta la ricercatrice INRAN Fausta Natella – il meccanismo attraverso cui il caffè agisca nel prevenire il diabete non è chiaro”. E continua: “E’ un recente studio epidemiologico[1], che sottolinea quanto l’associazione inversa tra consumo di caffè e diabete sia più forte per quegli individui che bevono regolarmente caffè all’ora di pranzo, a suggerire un possibile meccanismo d’azione: il consumo di caffè potrebbe proteggere dal diabete interferendo con la digestione ed il metabolismo dei carboidrati assunti con il pasto”.
Un’ipotesi confermata
“Partendo da una ipotesi – prosegue Natella – abbiamo dimostrato che i composti fenolici presenti nel caffè (acido clorogenico, acido ferulico e acido caffeico) sono in grado di inibire alcuni enzimi coinvolti nella digestione dei carboidrati (α-glucosidasi), mentre la caffeina non mostra alcuna attività inibitoria nei confronti di questi enzimi. I composti fenolici del caffè sembrerebbero, in grado di bloccare i residui del sito attivo dell’enzima, responsabili dell’idrolisi degli oligosaccaridi”.
Diabete una malattia in aumento vertiginoso
“Risultati di tale portata non sono da sottovalutare” – sottolinea Marco Comaschi (Past President dell’Associazione Medici Diabetologi e Direttore DEA – Azienda Ospedaliera Università S. Martino – Genova) – “soprattutto valutando le previsioni
sia nel Mondo, anche a causa di stili di vita non propriamente salutistici (pessima alimentazione, obesità, mancanza di esercizio fisico). I dati ISTAT più recenti riportano una prevalenza di malattia in Italia del 4.5% sull’intera popolazione, pari a circa 3 milioni di persone, ma l’osservatorio delle Società Scientifiche (AMD – SIMG) ha rilevato in questi ultimi anni valori superiori, fino al 6.7% nella popolazione seguita dai MMG. Resta comunque evidente, qualsiasi sia la fonte di produzione del dato, l’incremento progressivo, anche superiore a quello previsto dall’OMS. Pertanto sono richiesti quanti più sforzi possibili per educare la popolazione a rischio a una maggiore attenzione non solo in campo nutrizionale, ma più in generale su ogni aspetto dello stile di vita. La ricerca clinica ha dimostrato che questa è l’arma migliore per ottenere una riduzione dell’incidenza del Diabete di tipo 2, altrimenti destinata ad una crescita progressiva.”
“Spesso – afferma Comaschi – le alterazioni del metabolismo del glucosio vengono scoperte in modo del tutto casuale. Raramente il paziente pensa di controllarsi, soprattutto laddove c’è una familiarità diabetica. E voglio sottolineare – continua – che lo sviluppo dell’iperglicemia è graduale: agli stadi iniziali, non essendo di grado severo, non permette la manifestazione delle sintomatologia classica del Diabete. Parlando di obesità, di mancanza d’esercizio fisico e di sviluppo della sindrome metabolica, non si può che evidenziare quanto sia lo squilibrio nutrizionale e il poco movimento a inficiare la buona salute e, anzi, ad aprire la porta a patologie ancora più invalidanti e in diversi distretti corporei”.
Alimentazione equilibrata e caffè: una possibile riposta preventiva al Diabete?
“Perché no? – commenta Amleto D’Amicis (Dirigente di Ricerca e membro del Comitato Scientifico del Caffè della FoSAN) – “A parte la presenza di familiarità diabetica, è anche l’alimentazione poco curata e lo stile di vita sedentario a favorire l’insorgenza di diabete. La distanza che intercorre fra sovrappeso/obesità e sviluppo di diabete e sindrome metabolica è breve e l’alta frequenza di consumo, di cibi grassi e cibi ad alto indice glicemico, non è d’aiuto”. “Andando per logica – prosegue D’Amicis – un’alimentazione ricca in fibre e in antiossidanti, dovrebbe aiutare a prevenire il diabete. E oggi, poi, che la collega Natella ci ha illustrato quanto bere caffè dopo il pasto (un’abitudine tutta italiana), proprio per il suo effetto inibente sulla digestione dei carboidrati, potrebbe avere effetto protettivo rispetto all’insorgenza di diabete, si aggiunge un importante tassello al mosaico preventivo, visto che è proprio la frazione polifenolica del caffè, con o senza caffeina, a dimostrare tale azione, riducendo quindi i livelli di glicemia post-prandiale”.
Conclusione
"Se come auspichiamo questo fosse il meccanismo principale – conclude Natella – la nostra osservazione andrebbe a rafforzare l'indagine epidemiologica che l’associazione inversa tra consumo di caffè e diabete è più forte per quegli individui che bevono regolarmente caffè all’ora di pranzo; l'inibizione della digestione dei carboidrati, infatti, può avvenire solo se questi vengono assunti contemporaneamente al caffè. I risultati che oggi abbiamo ottenuto in vitro (con
approcci biochimici e bioinformatici), devono però essere confermati in vivo sull’uomo, valutando la risposta glicemica ad un pasto ricco in carboidrati complessi in presenza e assenza di caffè".
Durante
[1] “Differential effects of coffee on the risk of type 2 diabetes according to meal consumption in a French color of women: the E3N/EPIC study” Sartorelli et al Am J Clin Nutr 2010