Museo del Novecento Milano
6 aprile – 7 settembre 2014
a cura di Marco Sammicheli
allestimento e progetto grafico di Paolo Giacomazzi
Bruno Munari ha utilizzato l’arte come primaria forma espressiva. Prima della
grafica, del design, della pedagogia, dell’editoria l’arte guidava il genio
creatore di questo autore. La mostra “Munari politecnico” è un racconto di un
artista poliedrico e del suo ruolo nell’arte italiana ed europea nel corso del
Novecento e dei rapporti che lo hanno portato ad essere un protagonista
eclettico di numerosi movimenti artistici.
La mostra indaga la voracità intellettuale di Munari e il conseguente sfogo
espressivo, sceglie le arti visive che avevano nel metodo dell’artista un
primato generativo e una tensione ad inglobare riflessioni capaci di
trasformare una scelta linguistica e plastica in un’idea progettuale. Munari
utilizzava pittura, scultura, collage, installazioni luminose, opere su carta e
sperimentazioni tecniche per spingere la propria ricerca artistica in territori
di confine. Campi che successivamente avrebbero trovato un compimento
nella cultura progettuale. L’arte era un ponte per raggiungere altri approdi.
Le opere in mostra provengono in gran parte dalla collezione di Bruno
Danese e Jacqueline Vodoz che nella duplice veste di amici ed esperti d’arte
ma pure di editori e industriali per decenni hanno sostenuto e spinto Munari
a sperimentare linguaggi. Questa mostra a!erma, al di là della volontà dello
stesso Munari (si definiva anti-specialista), il suo posto nell’arte del
Novecento, il suo ruolo di antesignano e sperimentatore. I primi mobiles (“le
macchine inutili”, dal 1932), l’idea che il quadro e il muro insieme creassero lo
spazio dell’opera (“i negativi-positivi”, dal 1949), l’idea che la tecnologia
contemporanea all’artista andasse conservata (“i fossili del 2000”, dal 1959),
l’idea che l’arte si potesse anche piegare e portare con sé ovunque (“le
sculture da viaggio”, dal 1958), l’idea che la scrittura potesse diventare
racconto artistico (“le scritture illeggibili”, dal 1947), l’idea che le macchine, se
accese dall’artista, potessero produrre arte (“le proiezioni dirette”, dal 1951, le
“xerografie”, dal 1964) sono solo alcuni esempi. Svelare Munari artista è il
compito di questa mostra che idealmente prosegue quella che nel 1996 fu
allestita nelle sale della Fondazione Vodoz-Danese di Milano, rileggendo la
collezione e integrandola. Le prime quattro sezioni della mostra sono
dedicate rispettivamente ai giovanili approcci artistici di Munari con il
disegno, il collage e il secondo Futurismo; al suo rapporto con la ricerca
scientifica come ancella e supporto di trovate plastiche e soluzioni
linguistiche nonché come elemento attivatore di funzioni creative; all’arte
come matrice generativa e produttiva; alla produzione artistica durante la
militanza nei diversi movimenti artistici novecenteschi come appunto l’arte
concreta, l’arte cinetica e programmata, l’astrattismo, l’optical, gli esperimenti
di video proiezioni. Una quinta sezione che corre lungo il percorso della
mostra mette in dialogo le opere di Munari con altre delle collezioni civiche
del Museo del Novecento e dell’ISISUF – Istituto internazionale di studi sul
futurismo che Munari contribuì a fondare con Carlo Belloli. Queste opere
vivono di corrispondenze e influenze perché sono state citate da Munari nei
suoi libri come quelle di Mary Vieira, Victor Vasarely e Carlo Belloli, perché
appartengono ad autori che hanno esposto con lui come Enzo Mari, Max Bill,
Franco Grignani e Max Huber, oppure si legano ad artisti che lo
frequentavano come Paolo Scheggi, Arturo Bonfanti, Marina Apollonio e
Getulio Alviani, oppure che condividevano momenti originari come nel caso
di Gillo Dorfles prima e di Gabriele De Vecchi e Giovanni Anceschi poi,
infine figure che a Munari devono idealmente per capacità e ispirazione,
come Giulio Paolini. Le opere di questa sezione discutono, oggi come allora,
con Munari.
Accanto alla mostra principale un focus è dedicato a una raccolta di
fotografie, in parte inedite, scattate da Ada Ardessi e Atto Belloli Ardessi che
per decenni hanno lavorato a stretto contatto con Munari testimoniando tutti
i momenti fondamentali della vicenda professionale e umana dell’autore. Il
focus s’intitola “A con A, B con C” ed evoca non solo l’opera “Aconà-biconbì”
(presente in collezione al Museo del Novecento) ma gioca con le iniziali di
nomi e cognomi di questi protagonisti pubblici e privati della vita di Munari
artista e perno di una comunità. Le fotografie in mostra restituiscono la
complessità umana di Munari e scalfiscono lo stereotipo iconico che è stato
assegnato all’artista.
La mostra non ha un catalogo ma nel corso del suo svolgimento il curatore
raccoglierà testimonianze, interviste e saggi di personalità che l’hanno
incontrato o che con lui hanno lavorato e contributi di studiosi che si sono
concentrati su Bruno Munari. L’uscita di questa raccolta prevista per la fine
dell’estate ha l’ambizione di aggiungere una testimonianza viva e dialettica
sulla figura di Munari, artista e specialista.
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